giovedì 5 febbraio 2015

#CHARLIE HEBDO

Alcune considerazioni in ordine sparso

La mia incondizionata solidarietà alle vittime: quelle trucidate, quelle sopravvissute, quelle collaterali.

Tra Turchia e Russia se la giocano quanto a persecuzione del pensiero indipendente. In Arabia saudita quattro giorni fa hanno inaugurato la prima delle venti giornate di frustate (50 alla volta) del blogger anticlericale Raif Badawi, Netanyahu non è esattamente un paladino della tolleranza, insomma a piangere le vittime di Charlie Hebdo un bel parterre di ipocriti e criminali.

Quella in prima linea è rabbia che ha preso una strada sbagliata.

Lo Stato Islamico, che comunque opera principalmente in territorio mediorientale, Al Quaeda, che va a colpire fuori, i paesi occidentali. Movimenti islamisti che raccolgono proseliti tra chi non trova riconoscimento di sé e della propria cultura in Paesi altri dal proprio. Persone emarginate, arrabbiate, allo sbando. L’ignoranza, la povertà, la solitudine. Non confondiamo islamici e islamisti. Torna comodo a molti farlo ma è disonesto.
La storia dell’interpretazione dei testi sacri.

E le bambine che si fanno (o le fanno) esplodere e le centinaia di morti civili in Nigeria di cui han taciuto e tacciono pure a casa loro?
e la regione di Rovaja in Siria?
e l’interventismo statunitense dosato per mantenere gli stalli?

Sì, certo, la libertà di espressione, anche e soprattutto quella dell’altro che non condividiamo, ma scrivere una parola, pronunciarla, vergare un segno, tracciare una linea su un foglio, implica anche attraversarne una nella vita reale. Significa prendere una posizione tra quelle disponibili o crearne una nuova o anche non prenderne alcuna e fare l’equilibrista senza compromettersi. Ma ci si compromette sempre e comunque. Qualunque sia la scelta, nello scrivere, o nel proporre un’immagine, è implicita la responsabilità che ci si assume per tutto ciò che ne potrà derivare. Le parole possono essere meravigliosamente preziose ma possono anche essere inutili e superflue se sono fine a se stesse.

Renald Luzier (disegnatore di Hebdo) dice che non si ritengono responsabili della diffusione online del loro operato e che sono sempre stati solo una fanzine che nessuno ha mai degnato di attenzione. D’accordo ma sappiamo bene tutti in che era viviamo: ogni cosa anche la più irrilevante o stupida rimbalza e si propaga senza criterio, quindi…

Ho scorso un gran numero di copertine di Charlie Hebdo: non mi piacciono. Molte le ho trovate volgari. Superflue. Non che ciò giustifichi, altrimenti in base alla mediocrità di tanta carta stampata dovrebbero esserci stragi quotidiane, ma non ci si può esimere dal ritenersi corresponsabili delle reazioni che appunto si determinano.

Resta il fatto che dobbiamo fare i conti con la nostra inerzia, con l’omertà in cui siamo immersi e guardarci allo specchio ogni volta che una voce viene messa a tacere, dobbiamo ricordare che è nostra personale responsabilità, dobbiamo ricordare ogni istante che ci sono persone di cui ignoriamo il nome e la vita, che affrontano in solitudine la propria personale lotta per la libertà, che le parole possono innescare cambiamenti e che queste parole devono poter essere pronunciate o scritte, poter essere udite e trasmesse. Dobbiamo non perderci con diatribe su Charile Hebdo ha ragione, Charlie Hebdo ha torto, ma raccogliere questo sangue e nutrircene per continuare a credere e sognare il sogno più difficile.

  


12 gennaio 2015

(tutti i diritti riservati)

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