Questa sera sono scesa a Borgo Foce per un aperitivo con mia madre: è
il suo compleanno e ha poche occasioni di distrazione.
C’erano molte persone, avventori, autorità locali e regionali, e rappresentanti
dell’Imperia bene. Non ricordavo dell’inaugurazione del borgo rimesso a nuovo e
reso zona pedonale: vista l’occasione avrei scelto un altro posto, più
tranquillo e intimo.
A parte considerazioni sul risultato dei lavori compiuti, che evoca
l’omologazione mentale con cui le amministrazioni si approcciano ai cosiddetti
lavori di “restyling”, piazzette alla fine tutte uguali con uguali materiali
ovunque, e quindi inesorabilmente prive di un legame con l’anima, la memoria storica, e il carattere
dei luoghi, una persona con il benché minimo amore per il giornalismo, quale io
dichiaro di essere, non si sarebbe lasciata sfuggire l’occasione e avrebbe
penetrato la folla. Avrebbe interloquito, si sarebbe confrontata e relazionata
e, una volta a casa, avrebbe scritto un pezzo. Invece, dopo che mia madre se
n’è andata, ho attraversato il borgo in silenzio, aliena, guardandomi intorno:
capannelli di persone qua e là, il muretto occupato, calici pieni, pacche di
confidenza e intesa, saluti, strette di mano, commenti. Ho proseguito e ho raggiunto
la base del molo. Ho guardato a lungo le onde oltrepassare il frangiflutti. Poi
sono tornata indietro restando comunque ai margini dell’assembramento. Mi sono
seduta sul bordo di un’aiuola e sono rimasta incantata a osservare il percorso
di un piccolo coleottero sul selciato.
8 luglio 2014
(tutti i diritti riservati)
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