Volevo fare un resoconto
dell'anno appena terminato. Un bel po' di argomenti su cui avrei
voluto soffermarmi e riflettere scrivendone. Uno sguardo sintetico
sul mondo, che è poi lo spirito da cui è nato questo blog.
Raccontare anche cos'è accaduto nella mia vita, però solo nella
misura in cui potrebbe essere utile a parlare della vita stessa.
Nominare e raccontare di alcune persone che mi hanno fatto provare
una grande gioia interiore. Di altre che hanno messo a dura prova la
mia fiducia nel potere del dialogo e del confronto, nonché la mia
indole pacifica. Avrei voluto poi dedicare tempo e parole a due amici
che hanno deciso di anticipare la propria dipartita lasciando una
voragine all'altezza dell'addome. Infine mettere giù un elenco di
buoni propositi e riuscire a scrivere finalmente una sorta di
manifesto umano, un'esortazione, un testamento ideale, qualcosa che
possa suscitare un dubbio, un fremito, una folgorazione. Magari un
desiderio improvviso e irrefrenabile di fare qualcosa di buono per
chi verrà e non solo essere venuti al mondo così, come per caso.
Ho creduto fosse la mole
di intenzioni a impedirmi di scrivere. Poi, più concretamente, ho
pensato fosse la difficile situazione che sto vivendo in questo
periodo ad aver occupato tutte le mie risorse mentali e fisiche. Di
fatto non ho scritto nulla.
Poi la sera del 31, in
barba alla febbre, ho deciso di fare due passi qui nel borgo antico e
siamo andati con il mio compagno a sederci sugli scalini del sagrato
di San Pietro, da cui si vede un tratto di Aurelia. Alle 23.50 le
strade vuote, nessun'automobile in circolazione. Silenzio. La luce
arancione dei lampioni. Alle 00.05 il traffico aveva già ripreso la
consistenza abituale.
È
stato in quel preciso momento che ho capito. Probabilmente un qualche
organo nel mio corpo, una ghiandola di cui non sono a conoscenza,
aveva già da tempo metabolizzato questa cosa che né la mente né il
cuore, o quella cosa che ne dovrebbe essere la sintesi, avevano
ancora compreso. L'inutilità. Dello sforzo di dire. Di mostrare ciò
che è evidente. E che è stato già ripetutamente, sapientemente ed
esaurientemente affrontato da pensatori ben più capaci di me. La
gente non si ferma. Non mi piace dire gente, ma in questo caso è il
termine corretto. La gente non si ferma. Questo è il punto. La
compressione del tempo. La ricerca compulsiva di gratificazioni
immediate. A bordo di quelle automobili, a parte quelli che andavano
o tornavano dal lavoro, a parte quelli che si spostavano per una
qualche emergenza, tutti gli altri erano persone incapaci di stare
dov'erano, bisognose di andare altrove, persone che avevano
pianificato di spostarsi, di non restare troppo a lungo in un luogo
ma di farsi vedere in più posti possibili. No, la gente non si
ferma. Non ne ha nessuna intenzione. E se non ci si ferma non si
vede, se non si vede non si pensa, e se non si pensa be' allora
quella sensazione di inutilità che mi opprime e m'impedisce di
scrivere ha una sua ragione d'essere.
3 gennaio ore 2.45
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