martedì 7 gennaio 2020

FINE ANNO



Volevo fare un resoconto dell'anno appena terminato. Un bel po' di argomenti su cui avrei voluto soffermarmi e riflettere scrivendone. Uno sguardo sintetico sul mondo, che è poi lo spirito da cui è nato questo blog. Raccontare anche cos'è accaduto nella mia vita, però solo nella misura in cui potrebbe essere utile a parlare della vita stessa. Nominare e raccontare di alcune persone che mi hanno fatto provare una grande gioia interiore. Di altre che hanno messo a dura prova la mia fiducia nel potere del dialogo e del confronto, nonché la mia indole pacifica. Avrei voluto poi dedicare tempo e parole a due amici che hanno deciso di anticipare la propria dipartita lasciando una voragine all'altezza dell'addome. Infine mettere giù un elenco di buoni propositi e riuscire a scrivere finalmente una sorta di manifesto umano, un'esortazione, un testamento ideale, qualcosa che possa suscitare un dubbio, un fremito, una folgorazione. Magari un desiderio improvviso e irrefrenabile di fare qualcosa di buono per chi verrà e non solo essere venuti al mondo così, come per caso.
Ho creduto fosse la mole di intenzioni a impedirmi di scrivere. Poi, più concretamente, ho pensato fosse la difficile situazione che sto vivendo in questo periodo ad aver occupato tutte le mie risorse mentali e fisiche. Di fatto non ho scritto nulla.
Poi la sera del 31, in barba alla febbre, ho deciso di fare due passi qui nel borgo antico e siamo andati con il mio compagno a sederci sugli scalini del sagrato di San Pietro, da cui si vede un tratto di Aurelia. Alle 23.50 le strade vuote, nessun'automobile in circolazione. Silenzio. La luce arancione dei lampioni. Alle 00.05 il traffico aveva già ripreso la consistenza abituale.
È stato in quel preciso momento che ho capito. Probabilmente un qualche organo nel mio corpo, una ghiandola di cui non sono a conoscenza, aveva già da tempo metabolizzato questa cosa che né la mente né il cuore, o quella cosa che ne dovrebbe essere la sintesi, avevano ancora compreso. L'inutilità. Dello sforzo di dire. Di mostrare ciò che è evidente. E che è stato già ripetutamente, sapientemente ed esaurientemente affrontato da pensatori ben più capaci di me. La gente non si ferma. Non mi piace dire gente, ma in questo caso è il termine corretto. La gente non si ferma. Questo è il punto. La compressione del tempo. La ricerca compulsiva di gratificazioni immediate. A bordo di quelle automobili, a parte quelli che andavano o tornavano dal lavoro, a parte quelli che si spostavano per una qualche emergenza, tutti gli altri erano persone incapaci di stare dov'erano, bisognose di andare altrove, persone che avevano pianificato di spostarsi, di non restare troppo a lungo in un luogo ma di farsi vedere in più posti possibili. No, la gente non si ferma. Non ne ha nessuna intenzione. E se non ci si ferma non si vede, se non si vede non si pensa, e se non si pensa be' allora quella sensazione di inutilità che mi opprime e m'impedisce di scrivere ha una sua ragione d'essere.

3 gennaio ore 2.45

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