martedì 19 dicembre 2017

MIGRANTI AL PARASIO

17 dicembre
Borgo Parasio Imperia Porto Maurizio
Ore 8.30

Una dozzina di metri ingombri di valige, sacche, coperte, un materasso, giacconi infilati e pressati  in borse di plastica, resti della dispensa in scatoloni di cartone, borse legate con corde. Tutto addossato con ordine al muretto che fiancheggia il marciapiedi e da cui ci si affaccia sul mare.  Un tripudio di colori sullo sfondo blu terso del mattino, nel silenzio delle persiane ancora chiuse di un giorno festivo. Un peccato che pochi vedranno questa scena. Percorro con lo sguardo la teoria di oggetti fino al gruppo di uomini e donne. Chi seduto su una panchina, chi accovacciato, chi in piedi, chi appoggiato al muretto. Sono in attesa e paiono immobili. Anch’essi brillano di acconciature e di colori sgargianti. Per un attimo è come un affresco.
Parlano sottovoce in quell'idioma musicale che profuma di Africa. Devo passare in mezzo a loro per raggiungere la scala che conduce verso le Logge di Santa Chiara e la casa di un’amica. Rallento avvicinandoli e mi rivolgo a una donna. Le chiedo dove saranno trasferiti. Ai Piani, mi risponde con gentilezza. Bene, dico, anche se non ne sono del tutto convinta. In realtà sono convinta che ben poco sia intelligentemente pensato e organizzato riguardo al loro futuro. Che è il nostro, collettivo futuro. Gli altri del gruppo mi guardano con un misto tra curiosità e perplessità. Chi è questa donna mai vista che ora ci chiede dove andiamo?
Mentre mi allontano scendendo la scala rispondo mentalmente alla domanda che nessuno mi ha fatto. Non sono nessuno. Meglio, sono una piccola mediocre persona che in tanti mesi non è stata capace di trovare il tempo per venire a conoscervi e farsi conoscere da voi, pur abitando a pochi metri. Solo occasionali buongiorno lungo tragitti quotidiani. Basterebbe il semplice presentarsi  l’un l’altro. Almeno quello. Che è poi la base fondamentale per la costruzione del vivere sociale.
Cosa mi ha frenato? Pudore anzitutto. Il rispetto della riservatezza delle altrui esistenze a prescindere dalle condizioni di vita. Poi, perché mai avvicinarsi per offrire aiuto a chi non dà mostra di averne bisogno? Solo perché di pelle nera? Con che arroganza mettere maggior premura? O sono la dignità e l’orgoglio che trasudano a mettere soggezione? Le uniche cose rimaste loro. Giusto che se le tengano strette. Sta a noi farci avanti a costo di essere respinti. 
Formano comunità chiuse? Incutono timore? Suscitano imbarazzo? Noi faremmo lo stesso.

Cammino e penso che ho perso un'occasione.





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