giovedì 9 aprile 2020

CORONAVIRUS 6


Un fatto è assodato: l'umanità sta affrontando una crisi globale gravissima e, ritengo, una delle maggiori in senso assoluto. La differenza rispetto alle grandi crisi del passato è che gli esiti di questa, viste la realtà tecnologico finanziaria in cui siamo immersi e la conseguente accelerazione dei fenomeni, determineranno in modo ineluttabile le sorti della vita sul nostro pianeta. Ognuno di noi è chiamato a rispondere a un imperativo etico di assunzione di responsabilità. Non ci si può tirare indietro indefinitamente, indefinitamente lavarsene le mani. È necessario che ognuno metta in atto ogni mezzo personale e intellettivo per capire sino in fondo cosa sta accadendo e con umiltà si documenti, legga libri, s'informi. Ma seriamente e non seguendo il propagarsi dei commenti sui social come unica fonte di conoscenza. Abbiamo il dovere imprescindibile di non delegare ad altri decisioni che varranno per tutti. Dobbiamo verificare ogni informazione, ogni fonte, domandarci sempre cui prodest, a chi giova. Evitare l'atteggiamento tipico nei momenti di crisi di farsi prendere dal panico e aspettare che un deus ex machina venga a risolvere tutto. Non è più consentito a nessuno evitare una presa di posizione, come, tanto per fare un esempio, l'amico che a marzo inoltrato ha organizzato cene difendendosi con il fatto che le restrizioni non erano ancora in vigore e che lui le cose le fa solo quando glielo impongono le regole ufficiali. Le leggi, le regole, sono fatte dall'uomo; a volte sono ingiuste, a volte sono sbagliate, altre volte, semplicemente, sono tardive, incomplete, inefficaci. Pertanto quando necessario vanno anticipate, migliorate, cambiate, o, in casi estremi, rifiutate. La storia è ricca di esempi di leggi inique di cui poi nel tempo ci si è vergognati. Non è più consentito non pensare. Non è più consentito non agire.Le decisioni che governi, o chi per essi, hanno preso, stanno prendendo e prenderanno nelle prossime settimane incideranno in profondità sul mondo per anni. Influiranno non solo sui nostri sistemi sanitari ma anche sull'economia, la politica e la cultura. E, fondamentalmente, sulla società. Al risveglio da questo incubo troveremo un mondo del tutto diverso da quello conosciuto sinora, che già non era dei migliori. E temo sarà un mondo distopico. L'accelerazione esponenziale data ai mutamenti sociali da quest'emergenza sarà infatti funzionale al rapido realizzarsi di obiettivi molto chiari messi in agenda già da molti decenni da poteri forti che non intendono rinunciare alla propria visione utilitaristica di una società frammentata e sottomessa. Non si tratta di complottismo ma delle conclusioni inevitabili di un'analisi portata avanti nel tempo... Dobbiamo agire con rapidità e determinazione, pretendendo trasparenza, onestà, senno. Non accettare incapacità e approssimazione, e opporsi a corruzione, conflitti di interesse e utilitaristiche connivenze.Dobbiamo, e avremmo dovuto già da tempo, tenere conto delle conseguenze a lungo termine delle nostre azioni, perché il delegare, l'ignorare, il permettere, il non re/agire sono di per se stesse azioni. Nello scegliere tra le varie alternative, dovremmo chiederci non solo come superare difficoltà e pericoli immediati, di qualsiasi natura siano, ma anche in che tipo di mondo vivremo quando li avremo superati. In che mondo vivremo quando questa tempesta, visto che stiamo parlando della pandemia in corso, sarà passata. Perché certamente, in un modo o nell'altro, questa tempesta passerà e il genere umano sopravvivrà. Molti di noi saranno ancora qui e tireranno un sospiro di sollievo. Alcuni si saranno ulteriormente arricchiti, altri avranno dato fondo ai risparmi di una vita, altri saranno precipitati definitivamente nel baratro dell'incapienza. Qualcuno sarà morto in solitudine, qualcuno si sarà ammazzato, qualcuno avrà ammazzato qualcun'altro. Ma, essenzialmente, vivremo in un mondo diverso.Molti dei provvedimenti adottati in questo periodo per gestire un’emergenza, diciamo a breve termine, diventeranno parte integrante della nostra quotidianità. È nella natura stessa delle emergenze accelerare i processi storici, trasformando intere nazioni in cavie per esperimenti sociali, attraverso l'adozione in poche ore di decisioni e leggi che in tempi normali richiederebbero anni. Le storie legislative nostrana e internazionale sono ricche di esempi di norme introdotte in regime di emergenza e poi rimaste in essere. Per questo è necessario che, oggi, per ogni norma che scavalchi il normale iter legislativo, o che esautori il potere del giudice a favore di quelli del prefetto venga chiaramente indicato un termine temporale.Pensiamo al riconoscimento facciale e all'obbligo di controllare e riferire temperatura corporea e condizioni di salute, alle tecnologie di contact tracing, tutte procedure già in vigore in alcuni Paesi. Le autorità possono non solo individuare i possibili infetti, ma anche seguire movimenti e abitudini di chiunque. Lo si fa da un bel po' ma ora tali misure verranno con il nostro plauso intensificate e applicata su larga scala. Quest'epidemia sta segnando un importante spartiacque nella storia della sorveglianza. Nel momento in cui le multinazionali e i governi cominceranno a raccogliere anche i nostri dati biometrici, potranno prevedere i nostri stati d'animo e manipolarli. Potranno convincerci di qualsiasi cosa con maggiore efficacia di quanto avvenuto finora. E potranno definitivamente venderci quello che vorranno e con le modalità che vorranno. Non sta forse già accadendo? Basti considerare banalmente l'arbitraria classificazione dei beni in beni necessari e non necessari. Perché se possibile acquistare alimenti in un supermercato viene interdetto l'acquisto di abbigliamento se disponibile? Dov'è la logica? Un paio di mutande nuove può essere necessario. Mentre non dovrebbe esserlo entrare nel dettaglio e dover spiegare il perché di tale acquisto, raccontando fatti privati a tutto il personale dipendente fino al direttore del supermercato. Si rasenta l'assurdo. Una folle dispersione di energie mentali per distogliere da quelle che sono le questioni importanti di tutta quanta questa faccenda. Siamo e saremo talmente impegnati a dover risolvere problemi stupidi che non avremo tempo, occhi, orecchie, e cervello per capire quanto sta succedendo davvero. Per cogliere le connessioni tra gli accadimenti. Quanti, tanto per fare un altro esempio banale, che prima non l'avevano mai fatto, ora comprano on line indumenti e scarpe per i propri bambini in crescita che si ritrovano a non entrare nei vestiti da un mese all'altro, pigiami per parenti ricoverati, o qualsiasi altro bene che, nonostante le apparenze per qualcuno potrebbe essere veramente indispensabile? Tanti, direi. Ma chi non ha, perché non gli piace o perché non se li può permettere, un computer, uno smartphone, né una carta di credito, di debito, prepagata o quello che volete, come farà? È chiara l'intenzione di far sparire il commercio al dettaglio, la carta moneta, il rapporto tra persone e di far sprofondare nella marginalità chi ancora vorrebbe vivere alla vecchia maniera o non può permettersi di adeguarsi alla nuova. Tutti dovranno divenire parte di un sistema integrato per poter far fronte alle esigenze quotidiane. Forse persino per comprare le patate. Chi non lo farà sarà escluso. Il distanziamento sociale già esistente non potrà che aumentare. Anche la divaricazione dei redditi sta aumentando velocemente, con ammortizzatori sociali, per chi è in una condizione di reale bisogno, assenti o ridicoli e mal pensati. Ho letto da qualche parte che questo virus sarebbe reazionario perché sta imponendo una decrescita infelice e porterà a una recessione economica mondiale senza pari. Non credo: la decrescita sarà solo per chi non sarà più funzionale al sistema. Io trovo invece che reazionario il virus lo sia nella misura in cui rafforza potentemente lo status quo e impedisce un reale, lungimirante, ed equo rinnovamento sociale, politico, economico.Tornando alla questione di partenza, ciò su cui si fa leva è proprio il chiedere alla gente di scegliere tra privacy e salute, tra stile di vita e salute, tra relazioni umane e salute. In sostanza la solita vecchia storia di libertà contro sicurezza. Ma è una falsa scelta. Possiamo essere al sicuro e proteggere la nostra salute e allo stesso tempo fermare un'epidemia senza cedere a sistemi di sorveglianza assoluti, ma con il buon senso e la responsabilizzazione personale reciproca. Possiamo avere e dovremmo quindi pretendere di avere privacy e salute, socialità e salute, aria aperta e salute, libertà e salute. Invece mentre ci costringono in casa, provvedimento indiscutibilmente legittimo per arginare le epidemie, ripuliscono le strade da umani border line e randagi, tagliano alberi nelle nostre città, continuano a sventrare indiscriminatamente la terra, acidificano i mari. Mentre la maggior parte di noi rispetta doverosamente le restrizioni per il bene comune, si firmano contratti economico finanziari transnazionali, si alimentano conflitti, si dividono gli utili, si programma il new deal del terzo millennio a beneficio di pochi. Qualcosa non quadra. Non è questa la società globale che ho sempre auspicato e di cui ho altrove scritto.In sintesi estrema, un governo mondiale che, nel rispetto delle identità culturali e territoriali, istituisca e faccia rispettare regole comuni per la gestione dell'ambiente, della salute, delle risorse, dell'istruzione, dell'economia, in una visione di protezione del bene comune e dei diritti universali.Il virus, come il riscaldamento climatico, non conosce frontiere e richiede una risposta globale, azioni globali, governance globale. È ormai il Pianeta lo spazio politico in cui questi problemi devono essere affrontati. Ciò presuppone un cambiamento profondo non solo delle istituzioni politiche a cui siamo abituati, non solo degli stili di vita, ma anche del modo di pensare. Infatti l'altra scelta inderogabile che dobbiamo affrontare è quella tra isolamento nazionalista e solidarietà globale. L’epidemia in corso, le crisi economica, sociale, ambientale pregresse e conseguenti, sono problemi globali. Possono essere risolti efficacemente solo con la cooperazione di tutti i Paesi, attraverso la condivisione delle informazioni e l'adozione di misure di contenimento comuni a livello internazionale. Strano, tra l'altro, che non vi sia ancora stato, perlomeno non ufficialmente, un summit tra i leader globali a tal proposito. Anche solo per abbozzare un piano d’azione comune. Vien da pensare che i leader non siano veramente tali e siano in balia di qualcos'altro, di qualcun'altro. O sono degli incapaci o non contano nulla. Tertium non datur.Di sicuro al momento abbiamo che vi sono tanti incompetenti nelle stanze del governo. Si afferma tutto e il contrario di tutto, dimentichi persino delle nozioni base di biologia. Cos'è un virus, come si comporta, quanto tempo impiega a perdere la carica di letalità (nessun virus ha “interesse” a decimare gli organismi ospiti pena la propria scomparsa ma in genere prima di due anni non si può star tranquilli)... Quello che è evidente, a oggi, è che il Virus, inteso anche come misure del suo contenimento (la sedentarietà, lo stare al chiuso, l'isolamento fisico, psicologico, emozionale), sta abbassando le nostre difese immunitarie e sta aggravando patologie pregresse, con ricadute fisiche e psicologiche che pagheremo con gli interessi, sta disgregando le relazioni sociali, amicali, famigliari, in modo drammatico, sta alimentando lo spirito delatorio, sta rafforzando il nazionalismo territoriale. Le persone che all'interno di un paese si spostano dalle aree più colpite dal virus a quelle più “sicure” (sbagliato ma umano) sono sgradite come qualunque straniero si affacci al mare nostrum. Non ci saranno solo più muri tra continenti e tra stati, ma anche tra individui: il pericolo sarà il vicino di casa. Di questo dobbiamo avere paura. Della paura. L'arma più potente, il deterrente più efficace per mantenere il consenso, sfoltire i perdenti, e, in ultima analisi, tacitare ed eliminare i dissenzienti.E non bisogna nemmeno dimenticare di cosa si parlava fino a poco tempo fa. I cambiamenti climatici. L'ipossia dei mari. L'accaparramento indiscriminato di risorse non rinnovabili. La devastazione degli ecosistemi. Le nuove generazioni che criticavano quelle precedenti accusandole di non aver fatto e di non fare nulla per il futuro della vita sul pianeta. Non se ne parla più, anzi il virus ha ribaltato le parti. Ora gli esponenti più anziani della società, fisicamente più vulnerabili, si sentono minacciati dalla scarsa disponibilità dei giovani a cambiare abitudini, giovani che a loro volta stanno già pagando in termini di formazione e pagheranno in termini di qualità della vita. Conflitti generazionali di portata epocale su cui molto a fondo bisognerebbe riflettere.Il problema che la gente non è abituata all'idea di bene comune e non sa come comportarsi di fronte a una minaccia comune, se non andando nel panico e diventando egoista. Alcune persone sì, lo sanno ma, appunto, la gente no. Una questione di discernimento che, come insegna Elias Canetti, la massa non ha. La gente infatti non è andata nel panico per il riscaldamento globale, che è una crisi molto più grande del Covid-19, solo perché avviene gradualmente. Certo, su scala mondiale la velocità esponenziale con cui gli ecosistemi stanno collassando toglie il respiro, ma la maggior parte di noi non vede alcuna differenza nel lasso temporale di riferimento che per gli esseri umani del tardo capitalismo è quello tra una busta paga e l’altra. Solo la paura del contagio, solo la paura di perdere ciò che si possiede, muove. Per questo avrà la meglio un’economia mondiale che premia l’interesse personale cieco e rende la condivisione un lusso. Tra chi fa incetta di mascherine e chi si attacca alla macchina da cucire per produrne, i secondi sono una minoranza. Minoranza che, alla fine, esausta, si arrenderà.Quando vedremo le rovine di questo nostro mondo e patiremo le derive di una società composta da individui asociali, ci saranno rabbia e frustrazione, questo sì, ma niente di più, perché i colpevoli saranno, come sono sempre nell'immaginario collettivo, altrove. La colpa sempre di qualcun'altro che ha portato sino a noi il disastro.



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