sabato 11 aprile 2020

CORONAVIRUS 6 - POST SCRIPTUM



L'altro giorno ho scritto un post sull'onda della preoccupazione per le derive negative, in termini di perdità di diritti, che la gestione dell'emergenza in corso porterà. Vorrei chiarire, visto che qualcuno mi ha chiesto se penso che questa epidemia sia stata provocata da poteri forti e occulti, che non lo penso. Penso però che sia una circostanza agevolmente sfruttabile da chi ambisce ad avere un maggior controllo e quindi un potere via via crescente. Insomma che caschi a fagiolo.
Oggi, invece, rifletto solo sul virus in quanto tale.
Rifletto sulla frenesia di movimento cui l'epidemia ci ha sottratti.
Che non sia questo il tempo giusto e naturale, quello in cui ora siamo costretti? Che l'alterazione dannosa non fosse in quella che prima ritenevamo la normalità?
E rifletto sull'importanza del memento mori, il ricordati che devi morire, che ci è stato sbattuto in faccia.
Ricordarci e accettare che siamo fatti di materia fragile e corruttibile. Che siamo creature viventi legate indissolubilmente a ogni altra creatura vivente. Che la morte è il nutrimento della vita e che con questa cosa dobbiamo fare pace.
Poi penso al mondo.
Penso che qui, in Europa, s'inizia a parlare di fase due, di picco raggiunto, di discesa, come se avessimo già dimenticato quanto abbiamo appena imparato, e cioè che per il virus i confini non esistono. Quindi a meno di non voler puntare all'autarchia e chiudersi ogni nazione a qualsivoglia interazione con le altre, l'affacciarsi di una certa rilassatezza ottimistica mi sembra veramente una cecità. L'unico picco da considerare è quello mondiale. Siamo ancora lontani dal raggiungerlo in salita, figurarsi la discesa è decisamente prematuro. Stiamo scavando fosse comuni un po' ovunque e non è un bello spettacolo. Finché si trattava dell'Iran vabbe', ma ora persino negli Stati Uniti. E il peggio ha da venire. Gli tsunami africano, indiano, sudamericano s'intravvedono all'orizzonte e sembrano piccoli, ma quando si abbatteranno avranno un'altezza tale, una portata tale che allora sì che faremo per bene i conti di tutto quanto. In termini di perdite umane innanzitutto, di crisi sociali, economiche e politiche a seguire.
Stiamo parlando di nazioni in cui il distanziamento sociale spesso è impossibile, come ad esempio in India, Paesi in cui anziché mascherine si distribuiscono bare di cartone per smaltire i famigliari morti, Paesi in cui i sistemi sanitari erano già al collasso, vedi ad esempio il noto caso del Venezuela, o in cui sono se non praticamente inesistenti, di certo insufficienti. Paesi in cui c'è un medico di famiglia ogni tot migliaia di persone, in cui mancano i presidi base e i letti in terapia intensiva sono poche decine in un'intera nazione. Paesi che rischiavano l'insolvenza economica già prima della pandemia in corso, soffocati dagli interessi su debiti estinti da un pezzo, con capi di governo, senza nulla togliere ad alcuni nostrani dei Paesi sviluppati, alternativamente se non contemporaneamente, ignoranti, corrotti, criminali, e pertanto incapaci di gestire l'emergenza.
Come possiamo non pensare all'effetto domino, alle ripercussioni devastanti di ciò che sta per accadere? Forse potremo cinicamente farci una ragione per la morte di decine di migliaia di profughi costretti forzatamente in aree di stazionamento “provvisorio”, per la morte di centinaia di migliaia di persone che vivono in bidonvilles, slums, favelas, baraccopoli in giro per il mondo, ma come faremo a gestire la perdita di potere d'acquisto delle classi medio basse, visto che è su tale potere che gira il mondo? A gestire il fallimento di intere filiere produttive? A gestire il peso sanitario? La perdita di formazione per i giovani, la disoccupazione cronica?
Eppure qui, le persone, certe che a breve tutto rientrerà nella normalità, passano il tempo a escogitare stratagemmi per raggiungere impunemente le proprie seconde case.

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