Non volevo scriverne temendo di
impantanarmi in riflessioni su censura, interessi dell'industria
farmaceutica, globalizzazione, ipotesi di complotto, letteratura
e cinematografia distopiche, e via discorrendo, poi ho concluso che
almeno poche righe su quest'epidemia o pandemia che dir si voglia,
dovevo scriverle.
L'epidemia
di Coronavirus oltre a essere un'emergenza sanitaria è anche, se non
principalmente, una sindrome sociale che, in certi casi, rasenta la
psicosi di massa. Una sindrome che rivela molto della condizione
umana agli albori del terzo millennio dell'era cristiana. Rivela
pregiudizi, fa emergere paure inconsce, scatena istinti aggressivi.
In
questo mondo complesso ed estremamente fragile porta alla luce, tra
le altre cose, la nostra ipocrisia. Sollecitati da un'informazione
globale sfuggita di mano e incapaci di distinguere dove finisce il
resoconto di un’emergenza e dove comincia la costruzione mediatica
di un allarme, paventiamo un'ecatombe imminente che sicuramente
questa volta ci colpirà. Colpirà proprio noi che altrimenti ci
sentiamo lontani dai mali del mondo, che ci reputiamo in qualche modo
immuni alle tragedie fuori porta. Improvvisamente sicuri che prima o
poi arriverà la catastrofe che ci punirà, perché in qualche modo
siamo consapevoli di meritarla una punizione.
E
ora, con il coronavirus, ci ritroviamo a temere per la nostra vita
così come è stato per l'aids, la mucca pazza, l'ebola, la Sars,
l'influenza aviaria. Se poi si riuscirà a contenere l'epidemia, se
si troveranno un vaccino e una cura efficace, coloro che la
scamperanno, presumibilmente la gran parte, vergognandosi della paura
provata, liquideranno la faccenda come l'ennesima crisi sovrastimata.
Replicando in tal modo la propensione alla superficialità e alla non
lungimiranza. Torneremo a considerarci fuori dall'ecosistema
terrestre, fuori dalla società umana, insomma
non
a bordo della stessa barca. Fino alla prossima emergenza.
Intanto,
però, come dimostrano gli episodi di intolleranza, le aggressioni e
gli insulti, le assurde pantomime di baristi con tuta protettiva e
mascherina, la corsa all'accaparramento di disinfettanti e presidi
ospedalieri protettivi, il saccheggio dei negozi di ferramenta per le
mascherine, in molti, come sempre in queste occasioni, stiamo
mostrando il nostro lato peggiore, quello dell'ignoranza presuntuosa
e prevaricatrice.
Forse
non siamo riusciti, nonostante la professata fiducia nelle dell'umana
gente magnifiche sorti e progressive,
ad affrancarci da una memoria collettiva profonda pronta a riemergere
ai primi segni di una qualche nuova forma di contagio che richiami le
pandemie passate della storia umana, di cui la peste è l'emblema. Il
rifiuto dell'altro quindi come atavismo mentale, un riflesso
comportamentale ben presente in molti aspetti della nostra vita
sociale. Come quando siamo infastiditi o imbarazzati di fronte a chi
chiede l'elemosina forse perché una parte della nostra memoria di
specie ricorda quando le città europee rigurgitavano mendicanti,
straccioni, diseredati. Come se gli individui che incontriamo ai
bordi dei marciapiedi, quelli che scendono dai barconi, tutti coloro
che vivono ai margini di una vita dignitosa, fossero i fantasmi di un
passato, peraltro neanche tanto lontano, che fa a pugni con l'idea di
un mondo evoluto, prospero e avanzato. Un passato con cui non
vogliamo più avere niente a che fare.
Noi
che dimentichiamo di far parte di un unico sistema, parte di una
società umana strettamente interconnessa, noi che siamo incuranti
delle
centinaia di migliaia di persone che muoiono ogni anno di malattie
facilmente curabili, quali ad esempio la malaria e che non siamo, se
non occasionalmente, interessati a tutti quei problemi che
schiacciano buona parte dell'umanità perché irrazionalmente
persuasi di non farne parte, in questi giorni non dormiamo bene.
Siamo tormentati e inquieti.
Ci
stanno dicendo che il virus sopravvive a lungo sulle superfici...
Potrebbe
mai darsi che l'inquilina del piano di sotto che fa le pulizie dai
tedeschi che erano a Venezia a gennaio nello stesso periodo in cui vi
ha soggiornato la coppia di Taiwan positiva al Coronavirus, possa
aver contratto il contagio? Be', sì, potrebbe darsi.
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