Il ristorante è
accogliente, la cucina buona. Con la mia amica ci siamo concesse due
giorni di vacanza a Genova, città che lei non conosce. La donna che
ci serve al tavolo ha un bel modo di porsi. È
cordiale e guarda dritto negli occhi. Dopo il secondo la mia amica mi
domanda se intendo mangiare anche il dolce. Sono sazia e rispondo che
non potrei mai farcela ad affrontare un boccone in più, inoltre non
amo particolarmente i dolci. Giusto a un bûnet
non saprei dire di no ma non corro rischi visto che si tratta di un
dolce delle Langhe e dubito lo servano in un'osteria di
Genova. Quando la donna si avvicina, la mia amica le chiede cosa c'è
di dolce e lei inizia l'elenco proprio con il bûnet.
Scoppiamo a ridere. Mi tocca ordinarlo. La donna è stupita della
nostra ilarità ed esita con aria interrogativa. Le spieghiamo la
faccenda e ride anche lei. Si crea un'intimità leggera e piacevole.
In quel momento il lavoro è tranquillo, per cui si intrattiene
qualche minuto con noi. Ci raccontiamo a vicenda chi siamo. Poche
parole, l'essenziale per presentarsi in modo informale. Parliamo
anche di lavoro. Lei è egiziana. Vive a Genova da dodici anni.
Separata, suo marito era violento, mantiene una figlia di undici
anni, che è stata operata al cuore pochi mesi fa. Lavora a chiamata
e non guadagna abbastanza per affittare una casa. Può permettersi
soltanto una stanza con il bagno in comune. Le domando dov'è sua
figlia mentre lei lavora. Mi spiega che esiste l'associazione delle
Vigne; volontari che aiutano chi è in difficoltà. Una famiglia di
italiani si occupa della ragazzina durante l'orario del lavoro. Poco
dopo mezzanotte la va a riprendere e tornano nella loro stanza. Dice
che la figlia dovrà subire un altro intervento ed è preoccupata
perché è veramente difficile tirare avanti. Lei non ha paura di
lavorare. Accetta tutti i lavori regolari che le propongono. Vuole
garantirle un avvenire diverso dal proprio. Vuole che studi e che un
marito, se lo vorrà, se lo possa scegliere. L'importante è poterla
curare. Sono fortunata che qui c'è il Gaslini, conclude. Durante
tutto il racconto ha sempre sorriso. Crede nella propria tenacia, e
che la vita possa essere migliore. Ha detto tutto lei, cosa
aggiungere? Solo rimediare a una dimenticanza iniziale.
Io mi chiamo Barbara, e
tu?
Noa, mi chiamo Noa.
Nessun commento:
Posta un commento