mercoledì 13 febbraio 2019

NOA



Il ristorante è accogliente, la cucina buona. Con la mia amica ci siamo concesse due giorni di vacanza a Genova, città che lei non conosce. La donna che ci serve al tavolo ha un bel modo di porsi. È cordiale e guarda dritto negli occhi. Dopo il secondo la mia amica mi domanda se intendo mangiare anche il dolce. Sono sazia e rispondo che non potrei mai farcela ad affrontare un boccone in più, inoltre non amo particolarmente i dolci. Giusto a un bûnet non saprei dire di no ma non corro rischi visto che si tratta di un dolce delle Langhe e dubito lo servano in un'osteria di Genova. Quando la donna si avvicina, la mia amica le chiede cosa c'è di dolce e lei inizia l'elenco proprio con il bûnet. Scoppiamo a ridere. Mi tocca ordinarlo. La donna è stupita della nostra ilarità ed esita con aria interrogativa. Le spieghiamo la faccenda e ride anche lei. Si crea un'intimità leggera e piacevole. In quel momento il lavoro è tranquillo, per cui si intrattiene qualche minuto con noi. Ci raccontiamo a vicenda chi siamo. Poche parole, l'essenziale per presentarsi in modo informale. Parliamo anche di lavoro. Lei è egiziana. Vive a Genova da dodici anni. Separata, suo marito era violento, mantiene una figlia di undici anni, che è stata operata al cuore pochi mesi fa. Lavora a chiamata e non guadagna abbastanza per affittare una casa. Può permettersi soltanto una stanza con il bagno in comune. Le domando dov'è sua figlia mentre lei lavora. Mi spiega che esiste l'associazione delle Vigne; volontari che aiutano chi è in difficoltà. Una famiglia di italiani si occupa della ragazzina durante l'orario del lavoro. Poco dopo mezzanotte la va a riprendere e tornano nella loro stanza. Dice che la figlia dovrà subire un altro intervento ed è preoccupata perché è veramente difficile tirare avanti. Lei non ha paura di lavorare. Accetta tutti i lavori regolari che le propongono. Vuole garantirle un avvenire diverso dal proprio. Vuole che studi e che un marito, se lo vorrà, se lo possa scegliere. L'importante è poterla curare. Sono fortunata che qui c'è il Gaslini, conclude. Durante tutto il racconto ha sempre sorriso. Crede nella propria tenacia, e che la vita possa essere migliore. Ha detto tutto lei, cosa aggiungere? Solo rimediare a una dimenticanza iniziale.
Io mi chiamo Barbara, e tu?
Noa, mi chiamo Noa.

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