“La
crisi dei profughi sembra la dimostrazione che l’ordine politico mondiale sta
crollando. Ma per quanto sia meno evidente, il crollo dell’ordine economico è
ancora più preoccupante: centinaia di miliardi di dollari stanno abbandonando
le economie emergenti, dal Brasile alla Cina. La fuga di capitali e
l’esposizione delle banche sono i segni di squilibri dell’economia globale che
minacciano le nostre società democratiche almeno quanto alcune reazioni
all'immigrazione. Il Fondo monetario internazionale è molto preoccupato.
All'incontro annuale del 7 ottobre si è parlato di tremila miliardi di dollari
di credito in eccesso a livello globale e della flessione della crescita
economica mondiale. Il Fondo sa che serve una risposta internazionale
coordinata, ma è probabile che non ci sarà niente di simile. L’influenza che il
pensiero liberista e antistatale ha ancora negli Stati Uniti e nel Regno Unito
rende un simile intervento altrettanto improbabile della pace in Medio Oriente.
Il sistema finanziario globale è ormai fuori controllo. Oggi le grandi banche
realizzano gran parte dei profitti facendo affari tra loro, e il risultato è
che la loro capacità di creare denaro dal nulla ha raggiunto livelli mai visti.
Il fatto che le banche creino liquidità con i prestiti non è una novità, ma con
l’emergere di un sistema bancario globale, le banche centrali hanno molte più
difficoltà a controllare la situazione. E dato che ormai ci sono pochi limiti
alla circolazione dei capitali, questo denaro può essere dato in prestito in
paesi dove le prospettive economiche sono apparentemente buone. Le bolle
speculative che ne conseguono sembrano giustificare i prestiti. Il prezzo degli
immobili sale. Le aziende e le famiglie diventano eccessivamente ottimiste e si
indebitano sempre di più. I tassi di crescita aumentano vertiginosamente e
tutto sembra andare bene finché qualcosa, come un crollo dei prezzi degli
immobili o delle materie prime, manda tutto a rotoli e il denaro se ne va con
la stessa facilità con cui era arrivato. Secondo Andy Haldane, economista capo
della Banca d’Inghilterra, quella che stiamo vivendo è una crisi in tre atti.
Il primo ha avuto luogo negli Stati Uniti e nel Regno Unito tra il 2007 e il
2008. Dopo l’entusiasmo del decennio precedente, in cui un esagerato afflusso
di credito aveva generato boom illusori, i due paesi si sono accorti
all'improvviso che le loro banche avevano concesso troppi prestiti. Le garanzie
a fronte dei nuovi prodotti derivati non avevano alcun valore. Il denaro ha
cominciato a scorrere via, il sistema bancario britannico si è trovato in
bancarotta e per salvarlo ci sono voluti più di mille miliardi di sterline di
denaro pubblico. Il secondo atto si è svolto in Europa tra il 2011 e il 2012,
quando ci si è resi conto che le banche avevano prestato soldi basandosi
sull'errata supposizione che tutti i paesi dell'eurozona fossero uguali. Ancora
una volta il credito si è spostato altrove e l’Europa è stata salvata solo
grazie all'emissione straordinaria di denaro da parte della Banca centrale europea
(guidata da Mario Draghi) e all'austerità nei paesi più indebitati come il
Portogallo, la Grecia e l’Irlanda. Il terzo atto sta cominciando ora, e
stavolta il fenomeno interessa paesi che non hanno gli strumenti per fermare il
contagio finanziario e le cui banche sono meno solide. Dopo gli Stati Uniti e
l’Europa la finanza globale ha inondato di denaro le cosiddette economie
emergenti, come Turchia, Brasile, Malesia e Cina: tutti paesi che
approfittavano dell’impennata dei prezzi delle materie prime dovuta al boom
cinese, a sua volta sostenuto da prestiti incontrollati. La Cina ha prodotto
più cemento tra il 2010 e il 2013 che gli Stati Uniti in tutto il novecento.
Non poteva durare, e oggi ne abbiamo la prova. Le banche cinesi sono di fatto
insolventi: solo una piccola parte degli enormi prestiti che hanno erogato
potrà mai essere rimborsata. Per questo non possono prestare denaro al tasso
che sarebbe necessario per sostenere la crescita del paese. Oggi il tasso di
crescita reale della Cina è inferiore a quello degli anni di Mao, e i prezzi
delle materie prime sono già crollati. Il denaro scorre via dalle economie
emergenti, lasciandosi alle spalle aziende e famiglie indebitate e banche al
collasso. Questi paesi non hanno istituzioni come la Federal Reserve o la Banca
centrale europea che possano intervenire con misure di salvataggio, ma
rappresentano ormai più di metà del pil globale. Non stupisce che il Fondo
monetario internazionale sia preoccupato. Il mondo ha bisogno di risposte
creative, di un Fmi allargato che rifletta i nuovi equilibri mondiali e aiuti
le economie emergenti, e di un adeguato controllo della finanza globale. Ha
bisogno che i governi occidentali lancino importanti piani di rilancio
economico, basati su investimenti infrastrutturali. Ha bisogno di politiche
monetarie intelligenti che permettano tassi d’interesse negativi. Niente di
tutto ciò è all'orizzonte: la destra si oppone a queste misure e la sinistra
non le sostiene abbastanza. Se la volontà politica di trovare un accordo collettivo
sulla crisi dei profughi è insufficiente, quella di riordinare l’economia
globale lo è ancora di più”
(Will
Hutton, da Il terzo atto della crisi del debito,
Internazionale n. 1124 del 16 ott. 2015).
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