mercoledì 11 novembre 2015

WILL HUTTON E IL TERZO ATTO DELLA CRISI DEL DEBITO

“La crisi dei profughi sembra la dimostrazione che l’ordine politico mondiale sta crollando. Ma per quanto sia meno evidente, il crollo dell’ordine economico è ancora più preoccupante: centinaia di miliardi di dollari stanno abbandonando le economie emergenti, dal Brasile alla Cina. La fuga di capitali e l’esposizione delle banche sono i segni di squilibri dell’economia globale che minacciano le nostre società democratiche almeno quanto alcune reazioni all'immigrazione. Il Fondo monetario internazionale è molto preoccupato. All'incontro annuale del 7 ottobre si è parlato di tremila miliardi di dollari di credito in eccesso a livello globale e della flessione della crescita economica mondiale. Il Fondo sa che serve una risposta internazionale coordinata, ma è probabile che non ci sarà niente di simile. L’influenza che il pensiero liberista e antistatale ha ancora negli Stati Uniti e nel Regno Unito rende un simile intervento altrettanto improbabile della pace in Medio Oriente. Il sistema finanziario globale è ormai fuori controllo. Oggi le grandi banche realizzano gran parte dei profitti facendo affari tra loro, e il risultato è che la loro capacità di creare denaro dal nulla ha raggiunto livelli mai visti. Il fatto che le banche creino liquidità con i prestiti non è una novità, ma con l’emergere di un sistema bancario globale, le banche centrali hanno molte più difficoltà a controllare la situazione. E dato che ormai ci sono pochi limiti alla circolazione dei capitali, questo denaro può essere dato in prestito in paesi dove le prospettive economiche sono apparentemente buone. Le bolle speculative che ne conseguono sembrano giustificare i prestiti. Il prezzo degli immobili sale. Le aziende e le famiglie diventano eccessivamente ottimiste e si indebitano sempre di più. I tassi di crescita aumentano vertiginosamente e tutto sembra andare bene finché qualcosa, come un crollo dei prezzi degli immobili o delle materie prime, manda tutto a rotoli e il denaro se ne va con la stessa facilità con cui era arrivato. Secondo Andy Haldane, economista capo della Banca d’Inghilterra, quella che stiamo vivendo è una crisi in tre atti. Il primo ha avuto luogo negli Stati Uniti e nel Regno Unito tra il 2007 e il 2008. Dopo l’entusiasmo del decennio precedente, in cui un esagerato afflusso di credito aveva generato boom illusori, i due paesi si sono accorti all'improvviso che le loro banche avevano concesso troppi prestiti. Le garanzie a fronte dei nuovi prodotti derivati non avevano alcun valore. Il denaro ha cominciato a scorrere via, il sistema bancario britannico si è trovato in bancarotta e per salvarlo ci sono voluti più di mille miliardi di sterline di denaro pubblico. Il secondo atto si è svolto in Europa tra il 2011 e il 2012, quando ci si è resi conto che le banche avevano prestato soldi basandosi sull'errata supposizione che tutti i paesi dell'eurozona fossero uguali. Ancora una volta il credito si è spostato altrove e l’Europa è stata salvata solo grazie all'emissione straordinaria di denaro da parte della Banca centrale europea (guidata da Mario Draghi) e all'austerità nei paesi più indebitati come il Portogallo, la Grecia e l’Irlanda. Il terzo atto sta cominciando ora, e stavolta il fenomeno interessa paesi che non hanno gli strumenti per fermare il contagio finanziario e le cui banche sono meno solide. Dopo gli Stati Uniti e l’Europa la finanza globale ha inondato di denaro le cosiddette economie emergenti, come Turchia, Brasile, Malesia e Cina: tutti paesi che approfittavano dell’impennata dei prezzi delle materie prime dovuta al boom cinese, a sua volta sostenuto da prestiti incontrollati. La Cina ha prodotto più cemento tra il 2010 e il 2013 che gli Stati Uniti in tutto il novecento. Non poteva durare, e oggi ne abbiamo la prova. Le banche cinesi sono di fatto insolventi: solo una piccola parte degli enormi prestiti che hanno erogato potrà mai essere rimborsata. Per questo non possono prestare denaro al tasso che sarebbe necessario per sostenere la crescita del paese. Oggi il tasso di crescita reale della Cina è inferiore a quello degli anni di Mao, e i prezzi delle materie prime sono già crollati. Il denaro scorre via dalle economie emergenti, lasciandosi alle spalle aziende e famiglie indebitate e banche al collasso. Questi paesi non hanno istituzioni come la Federal Reserve o la Banca centrale europea che possano intervenire con misure di salvataggio, ma rappresentano ormai più di metà del pil globale. Non stupisce che il Fondo monetario internazionale sia preoccupato. Il mondo ha bisogno di risposte creative, di un Fmi allargato che rifletta i nuovi equilibri mondiali e aiuti le economie emergenti, e di un adeguato controllo della finanza globale. Ha bisogno che i governi occidentali lancino importanti piani di rilancio economico, basati su investimenti infrastrutturali. Ha bisogno di politiche monetarie intelligenti che permettano tassi d’interesse negativi. Niente di tutto ciò è all'orizzonte: la destra si oppone a queste misure e la sinistra non le sostiene abbastanza. Se la volontà politica di trovare un accordo collettivo sulla crisi dei profughi è insufficiente, quella di riordinare l’economia globale lo è ancora di più”



(Will Hutton, da Il terzo atto della crisi del debito, Internazionale n. 1124 del 16 ott. 2015).

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