mercoledì 1 aprile 2015

#PETROLIO 1

Nel 2007, con dati aggiornati al 2011, ho scritto un articolo sulla TRI, la terza rivoluzione industriale, e ho dedicato una larga parte alla realtà dei combustibili fossili. Rileggere quanto scritto allora, alla luce dei fatti odierni, procura un certo disagio. Ribadisco le affermazioni a sostegno dei cambiamenti sostenuti dalla TRI ma lo scenario legato al petrolio è apparentemente mutato.
Presumo sia una fase le cui conseguenze non pregiudichino le considerazioni di base fatte a suo tempo ma sta di fatto che tutto pare contraddire le previsioni nefaste sull’incremento del prezzo a barile e l’esaurimento delle risorse petrolifere.
Come mia abitudine per arrivare a considerazioni su quanto si sta verificando, elencherò un po’ di dati e informazioni raccolti negli ultimi mesi. Serve a chi legge come premessa e a me per riordinare le idee.

- La Cina sta riaprendo la via della seta: una linea ferroviaria lunga 13000 chilometri per raggiungere l’Europa, fino alla Spagna. Il 90% delle merci cinesi viaggia oggi via mare ma Pechino intende cambiare direzione, riducendo tempi e costi dei trasporti. La nuova via della seta è il progetto con cui la Cina s’impegna a creare un’enorme zona di libero scambio verso ovest, anche e soprattutto per contrastare la potenza del TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership)* e del TPP (Trans-Pacific Partnership)**. Una serie di enormi investimenti per creare una nuova rete di gasdotti e oleodotti che colleghino l’Asia centrale alla Siberia, per incrementare l’accaparramento di materie prime in Africa e Sudamerica, e per implementare l’estrazione di petrolio nel mar Cinese meridionale e orientale, il cosiddetto nuovo Golfo Persico.

- Negli Usa la rivoluzione dello shale (gas di scisto) si sta rivelando una bolla. Wall Street ha ideologicamente foraggiato gli investimenti nel settore ma molte aziende stanno già facendo i conti con la realtà: costi fuori controllo, problemi ambientali, opposizione della cittadinanza, creazione di enormi infrastrutture partendo da zero nel mezzo del nulla. In pochi anni negli USA sono stati scavati migliaia di pozzi ma l’80% di essi rischia di essere antieconomico per la scarsa durata degli stessi in relazione agli investimenti necessari e ai costi ambientali. Per mantenere elevata la produzione e adeguato il ritorno economico, sarebbe necessario procedere a continue escavazioni con impiego di decine di miliardi di dollari all'anno. Dei sei maggiori pozzi che, negli USA, corrispondono all'85% della produzione, cinque hanno tassi di declino tra l’80% e il 95% in 3 anni. Inoltre i prezzi di vendita rischiano di divenire sempre più bassi per l’aumento di disponibilità di idrocarburi sul mercato, anche se lo shale può reggere prezzi più bassi rispetto a quanto possono fare le economie di molte nazioni che hanno i propri PIL dipendenti in certi casi fino al 90% dal commercio degli idrocarburi 
Ad esempio l’Iran per stare a galla deve vendere a 140 dollari al barile, Mosca a 117 (il mercato idrocarburi finanzia il 50% del Pil), il Venezuela a 120.
La tecnica del fracking:

- L’Algeria è la terza riserva mondiale per gas di scisto, nonché il primo produttore di gas e il terzo di petrolio in Africa. Esiste un forte movimento di opposizione al fracking e ci sono state diverse manifestazioni contro l’azienda energetica di Stato, la Sonatrach, che ha affidato all'americana Halliburton le operazioni.
- La Libia è tra i primi paesi possessori di riserve petrolifere in Africa e tra i primi produttori insieme ad Algeria, Nigeria e Angola. Ma mentre da giugno a ottobre 2014 aveva incrementato la produzione di 500.000 barili al giorno raggiungendo quota 900.000, da novembre a gennaio 2015 questa è scesa a 325.000 barili per arrivare oggi a una condizione di blocco della produzione, con la chiusura anche di Sidra, il principale porto petrolifero. Inoltre vi è l’ambigua figura del generale Haftar, prima sostenitore di Gheddafi, poi dopo la rovinosa guerra in Chad dove viene fatto prigioniero, suo nemico. Rilasciato grazie a un accordo con gli Stati Uniti, vola in America e prende là cittadinanza rimanendovi per 20 anni mentre in patria viene condannato a morte. Torna l’anno scorso con l’Operazione dignità per risolvere con un colpo di stato fallito il caos in Libia e attualmente è capo delle forze armate nominato dal governo internazionalmente riconosciuto di Tobruk. Intanto, a sud di Sirte, i jihadisti dello Stato Islamico hanno attaccato due campi petroliferi, Al Bahi e Al Mabrouk, controllati da Tripoli, e scontri per altri pozzi sono in corso
- Anche in Nigeria c’è stato un incremento della produzione, pari a 400.000 barili al giorno.
- L’Arabia saudita non taglia la produzione e ribadisce la propria egemonia contro Russia, Usa e Iran, anche se ciò può comportare un avvicinamento di Rouhani verso gli Usa e di Putin verso Assad. Neanche i paesi dell’Opec*, nonostante l’instabilità del Nordafrica, tagliano la produzione e contribuiscono a un eccesso dell’offerta. Riyadh è comunque riuscita a sottrarre clienti anche ad altri produttori, tra cui Venezuela e Nigeria (anch'essi nell’Opec, come l’Iraq e la stessa Arabia Saudita) praticando prezzi competitivi. Le consegne sarebbero cresciute non solo in Asia, ma anche negli Stati Uniti e in Europa. Riad ha abbassato i prezzi di vendita all’EU aggiungendo pressione al mercato. Gli Emirati lo hanno già fatto e la stessa strada seguiranno Iran, Iraq e Kuwait.
Per alcuni giorni ci sono state delle riduzioni sugli sconti con un aumento dei prezzi di listino da parte di alcuni Paesi Opec: oltre all’Arabia Saudita, hanno comunicato rialzi anche Emirati Arabi Uniti e Qatar. Però le scorte petrolifere dovrebbero comunque crescere ancora e ciò tornerebbe ad accrescere la pressione sulle società più indebitate nel settore.
- Negli Stati Uniti la produzione di shale oil continua a crescere anche se le compagnie petrolifere hanno annunciato pesanti tagli agli investimenti e il numero delle trivelle sia quasi dimezzato. Le scorte americane sono arrivate a livelli che non raggiungevano dagli anni ’30. Rischia di non esserci più spazio nei serbatoi di stoccaggio a meno che Washington non decida di rimuovere il divieto di esportazione di greggio in vigore dagli anni ’70, come chiedono le compagnie petrolifere. Ma se anche questo accadesse, non sarebbe comunque una soluzione. Inoltre il debito delle compagnie petrolifere ricomincia a fare paura. Con il petrolio di nuovo in discesa - sono tornate a deprezzarsi anche le obbligazioni “spazzatura” che negli Stati Uniti hanno finanziato in particolare lo sviluppo del fracking.
- Gazprom Il colosso russo del gas, che affianca Rosneft, il colosso del petrolio, ha liquidato i consorziati South Stream (Eni, Edf, Basf – Italia, Francia e Germania), rimborsando capitale e interessi, dopo lo stop sulla costruzione della faraonica infrastruttura che avrebbe aperto una rotta alternativa per il gas russo verso l’Europa rispetto alla via attraverso l’Ucraina.
- Mentre le potenze del mondo occidentale sono impegnate per raggiungere entro fine mese un accordo sul nucleare iraniano, i colossi economici dell’Asia confidano nella rimozione delle sanzioni e si preparano a comprare il petrolio di Teheran. Il governo iraniano ritiene di poter aumentare la produzione di almeno un milione di barili al giorno in breve tempo a seguito del raggiungimento dell’accordo sulle sanzioni.
- Il ribasso del prezzo del petrolio ha risvegliato la domanda europea, ma non ha frenato a sufficienza la produzione negli USA che continua a crescere al punto che presto non si saprà più dove metterla. 

Mi fermo qui: ce n’è a sufficienza. Di base arrivo a due conclusioni. La prima è che, nonostante alcuni esperti ritengano che un’ulteriore discesa dei prezzi, porterebbe a dei tagli programmati e concordati della produzione a livello internazionale, l’affare è ancora troppo allettante per essere mollato. Meglio tirarne fuori più che si può, accrescere le proprie scorte, sbaragliare gli avversari e puntare al controllo del mercato. La produzione non Opec, in gran parte proveniente dagli Usa, continua infatti ad aumentare arrivando a quasi 60 milioni di barili al giorno e se si somma questa cifra a quella della produzione Opec, si arriva a 95 milioni di barili al giorno. L’abbassamento dei prezzi ha incentivato la domanda nel vecchio continente, e anche gli acquisti da parte di raffinerie che vedono la possibilità di margini di guadagno superiori al solito e da parte di speculatori che pensano ad accumulare scorte, ma entrambi i fenomeni non possono essere né duraturi né risolutivi. Tornano quindi sicuramente comodi i disordini socio politici in nord Africa. Il sistema idrocarburi, per quanto obsoleto, ridicolo e folle, deve stare in piedi a qualunque costo. E quando, ad esempio, si dice che ormai la Libia è diventata irrilevante per quanto riguarda l’offerta petrolifera, viene inevitabilmente da pensare che serve che lo sia e che tale irrilevanza sia stata indotta per tamponare la situazione di surplus dell’offerta. E tutte queste notizie, sale, scende, risale, riscende, quello trivella di lì, quell'altro di là, uno rallenta, l’altro accelera, da una parte si ribellano, dall'altra invadono, per quanto interessanti ed esplicative, non sono altro che un susseguirsi di mosse di una partita che vedrà dei vincitori che sicuramente non saremo noi abitanti di questo pianeta. La seconda considerazione è che riflettendo sul fatto che negli anni ’30 con l’energia prodotta da un barile di petrolio se ne producevano cento, mentre oggi con un barile se ne producono cinque, e sull’evidente ed indiscutibile effetto che l’utilizzo smodato degli idrocarburi ha su ambiente, clima e salute, bisognerebbe prendere a calci questa masnada di avvoltoi senza scrupoli che impediscono una rivoluzione energetica necessaria, tecnicamente ed economicamente, checché ne dicano,  già realizzabile,  e anche finalmente sostenibile.

Qualche giorno fa ho visto un servizio televisivo sullo status symbol rappresentato dall'auto in Cina. Hanno intervistato un uomo sulla quarantina in un autosalone. Era a scegliere un veicolo alla portata del suo stipendio di 350 euro mensili e, tra le tante auto in vendita, ce n’era anche una adatta alle sue possibilità. Insieme a lui c’erano gli anziani genitori e la figlioletta di otto, nove anni. Non ricordo le esatte parole ma sono state più o meno queste: “ Guardate i miei genitori: sono commossi. Per loro sarebbe stato inconcepibile anche solo l’idea di acquistare un’automobile. Sono molto fieri di me. E sono felice per mia figlia, perché se le cose andranno avanti così, per lei sarà normale comprare una bella vettura come quelle laggiù. Si potrà permettere di comprarla e di riempire il serbatoio senza problemi.”
Non ce la possiamo fare. Ora che bisogna smettere, ci sono miliardi di persone che iniziano a emozionarsi come i nostri nonni quando si facevano l’automobile. Vaglielo a spiegare che sono entrati a giochi finiti.

Per concludere, una frase che scrissi in calce a un altro post:

E i peggiori tormenti auguro a colui che sogna di battere all'asta, tenendolo ben alto in vista con il braccio disteso, l’ultimo secchio di greggio.            (giugno 2012 – post “Dichiarazione di guerra”)


                                                   25 marzo 2015

(tutti i diritti riservati)

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