venerdì 3 marzo 2023

LA CIMINIERA DELLE FERRIERE

  Ricordo quando nella primavera del 2000, se non ricordo male, tornando da un breve viaggio a Torino, sbucai dall’argine destro nel momento in cui venivano abbattuti gli stabilimenti delle Ex Ferriere. Frenai e accostai la macchina. Mi vennero le lacrime agli occhi, provai un senso di ingiustizia per quanto stava accadendo. Fu allora che decisi di trasformare quello che fino a quel momento era stato un diario personale sulla città in una testimonianza da rendere pubblica. La mia personale testimonianza, quindi parziale ed emotiva, ma comunque un contributo a che si conservasse nella memoria collettiva qualcosa che non era più e di cui in futuro non si sarebbero trovate tracce se non in archivio. Da tempo pensavo che Imperia fosse un museo a cielo aperto e che di tanta storia che fortemente definiva questa città pian piano le tracce scomparissero. In molti libri su Imperia di una parte del passato più lontano e anche del più recente, intendo quello del dopoguerra, non si racconta. Molte cose le ho scoperte appunto dai documenti d’archivio dove ho cercato verifica di racconti raccolti nel tempo. Nel corso di trent’anni ho visto l’aspetto di questa città continuare a mutare attraverso la cancellazione di quello che è stato come se tale modalità fosse prerogativa radicata nella mentalità di chi nel tempo ha amministrato Imperia. Quante volte, ancora oggi, parlando con visitatori e stranieri, raccontando loro alcune cose che normalmente non vengono raccontate, questi strabuzzano gli occhi stupiti che tanta ricchezza storica non sia motivo di orgoglio e valorizzazione. Non alludo alla storia dei palazzi illustri o delle personalità illustri di Porto Maurizio e Oneglia, storia che è stata ed è sempre portata agli onori, ma a quella urbanistica e industriale della città, a quella commerciale, altrettanto importanti. Di quando, ad esempio, dal porto di Borgo Foce partivano bastimenti carichi dell’olio della Giurisdizione degli ulivi alla volta di San Pietroburgo, o allo sventramento del Parasio per creare i boulevards, alla storia della collocazione della stazione, e via recuperando vicende che meglio possono spiegare la città di oggi.

Penso a Torino, che è la città che meglio conosco. Quando nel 2014 ho fatto ricerca e sopralluoghi per il mio libro ambientato tra Veneto e Piemonte nel ventennio 1923 - 1943, ho ritrovato i siti cui nel libro intendevo fare riferimento. A parte quanto distrutto dai bombardamenti, un paio di speculazioni edilizie, e la trasformazione di un’area industriale in un immenso centro commerciale, posso dire di avere trovato tutto quello che cercavo, almeno l’ottanta per cento. Villaggi operai, complessi industriali dismessi, e altri edifici di interesse storico per le vicende raccontate. Ho potuto camminare per ore tra vestigia pressoché intatte e deserte e calarmi nella quotidianità di chi le aveva vissute all’epoca.

A parte il mio libro, mi vengono in mente di Torino, altri luoghi del passato come le OGR, Officine grandi riparazioni, o l’intervento di riqualificazione urbana del Lingotto nella Torino post fordista. Intendo dire si può cambiare la destinazione d’uso di una struttura del passato mantenendo però la stessa a memoria di quello specifico passato. Certo non voglio fare del campanilismo e ammetto che mi si stringe il cuore ogni volta che entro nella stazione di Porta Nuova e conosco l’abbondanza di assenze presenti anche a Torino, come in ogni città. Per fortuna esistono persone che nel corso dei decenni hanno documentato tutto e portano avanti un progetto di diffusione pubblica del proprio lavoro.

Per questo vorrei rispondere brevemente alle seguenti dichiarazioni del sindaco:  

"Fa tristezza. Però d’altra parte bisogna sempre guardare avanti, mai piangere sul passato. Andare avanti e fare meglio. Molte volte le scelte che si fanno sono anche scelte difficili e che non si vorrebbero prendere.

Questo è il modo per cui troppo spesso non si fa nulla, perché non si vuole decidere. Quando ci sono delle cose che ti danno dispiacere, che ti danno anche un po’ di tristezza, cercati un pensiero bello. Cercando un pensiero bello, uno nasconde e cerca di dimenticare il pensiero brutto. Il pensiero bello sarà quello di andare a vedere quello che diventerà questa zona degradata. Perdiamo una ciminiera, avremmo preferito averne tre invece che due sole. Avremmo però una zona molto degradata e abbandonata, che unisce Porto Maurizio a Oneglia, che invece sarà una buona zona di sviluppo, con un parco grosso, con delle attività produttive, che daranno lavoro.

Guardiamo il positivo. D’altra parte nella vita, credo che si vada avanti soltanto se si guarda al positivo e ci si dimentica delle cose brutte. Altrimenti, con i tempi che viviamo correremo il rischio di andare indietro”.


Vede, signor Sindaco, l’iniziale accorato e poi ripetuto richiamo alla tristezza suona terribilmente come una banale e scontata captatio benevolentiae. Una moina per chiudere il discorso ed evitare di rispondere alle molte argomentazioni di chi non condivide determinate scelte urbanistiche. Non si tratta di piangere sul passato. Si tratta di non cancellarlo ma saperlo recuperare nell’ottica del miglioramento cui si ambisce. Ritengo non onesto proporre la dicotomia brutto, degradato, abbandonato versus bello, produttivo, foriero di lavoro. Al degrado e all’abbandono si può sempre porre rimedio se esiste la volontà di farlo ma in questo caso non lo si è fatto forti della motivazione che ormai la zona era proprietà del gruppo Colussi, discorso che vale anche per zone in cui non ci sono multinazionali di mezzo. Mi riferisco a quella funzione utilitaristica del degrado che consente di far accettare qualsiasi soluzione purché il fine dichiarato sia di togliere la bruttezza da sotto gli occhi. Bisogna vedere in cambio di cosa. Ammesso e non concesso che gli obiettivi dichiarati di beneficio per città e cittadinanza si realizzino, ciò sarà, nella migliore delle ipotesi, a costo di una perdita di identità storica collettiva. Sempre augurandoci che l’indotto occupazionale che dovrebbe derivarne sia un po’ più consistente di quello creato dal nuovo porto. Quindi concludo, con una buona dose di rassegnazione, ben vengano i cambiamenti, dalla riqualificazione della zona, al nuovo ponte che la unirà alla zona dell’Agnesi, dai lavori alla Galeazza e a quelli del Prino, e via elencando, ma prego le istituzioni rappresentate in questo momento dalla Sua persona, di provvedere almeno alla preservazione di quanto era prima attraverso la diffusione nei vari percorsi urbani di una documentazione fotografica ed esplicativa sull’esempio di quella importantissima se pur minima e discreta ad opera del Circolo Parasio affissa in via San Leonardo: la riproduzione di un dipinto che ricorda al viandante com’era via San Leonardo prima del terremoto e dei cosiddetti “sventramenti”. Iniziativa che spero proseguirà per tutto il borgo antico di Porto Maurizio, anzi per tutti i quartieri, ché ognuno di essi merita tale attenzione.

Distinti saluti

Barbara Panelli


Scritto d’un fiato il 3 marzo 2023

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