A fine agosto con
un'amica ho trascorso una giornata in una spiaggia libera organizzata
con un'ampia zona attrezzata in modo eccellente per umani con cani.
Oltre a ciò, ovunque bidoni per la raccolta differenziata e tutti i
contenitori alimentari del chiosco in materiale "compostabile".
Derivati da canna da zucchero e amido di mais.
Ecco, io sono contraria
all'utilizzo di tali materiali. So che può apparire quasi una
bestemmia in questo mondo soffocato dalla plastica e che scegliere
materiali biodegradabili possa apparire un comportamento virtuoso,
etico, e responsabile, ma qualcosa non quadra. La prima impressione è
stata di trovarsi in un'oasi felice, una rarità che dovrebbe essere
regola. Chi potrebbe non auspicare una società tanto attenta
all'ambiente? Il fatto è che si tratta dell'ennesima soluzione di
superficie.
Quanta terra serve per
produrre sufficiente canna da zucchero e mais da soppiantare
l'utilizzo della plastica o diventare biocarburanti? Quante
tonnellate annue di pesticidi e fertilizzanti occorrono? Quali danni
irreversibili al suolo portano tali monocolture? Quali sono le
condizioni dei lavoratori costretti a lavorare a cottimo e privi di
tutele? Quali sono i reali costi di questa rivoluzione green?
Il punto non è
sostituire la plastica ma rifiutare la cultura dell'usa e getta. Non
è cambiando i materiali di qualcosa che utilizzeremo una sola volta
che risolveremo il problema. Semplicemente lo
sostituiremo con un problema diverso ma altrettanto serio. Dovremmo intanto iniziare facendo un reset del nostro
modo di intendere la quotidianità. A partire, ad esempio, dalle
grigliate tra amici, dalle mense, dalle scuole e ospedali, da tutti
quei luoghi in cui si potrebbe con poco sforzo ritornare a ceramica e
vetro. Smettere di credere che le risorse siano infinite. E non solo
rinunciare agli imballaggi in plastica ma meditare anche sui cibi che vi
sono contenuti, su quale sostenibilità abbiano. Piantarla una buona
volta con la degenere filosofia dell' All you can eat. Di ogni
prodotto imparare il concetto di supply chains, le catene di
approvvigionamento, e non considerare solo il risultato all'interno
del nostro portamonete. Riflettere che se paghiamo 750 grammi di
passata di pomodoro 58 centesimi, forse qualcun altro da qualche
parte sta pagando al posto nostro i costi nascosti che a noi sono
risparmiati per renderci consumatori massivi e acritici. Del tutto,
poi, incapaci di valutare fenomeni sociali e operare oculate scelte
politiche.
Chi non comprende oggi la
gravità della situazione, chi elude le domande implicite
nell'attuale stato delle cose, ne scoprirà attonito le conseguenze
tra qualche anno e l'unica cosa che potrà fare sarà incattivire
sempre più, in un processo collettivo e inesorabile di caduta verso
il basso.
6 settembre 2018