lunedì 14 marzo 2016

IL CORAGGIO DI ANDARE A VEDERE

Un mio conoscente ieri ha aperto un gruppo su WathsApp inserendo tutti i contatti della sua ben folta rubrica per condividere l’importanza del referendum del 17 aprile 2016 sulle trivelle (cui vi invito calorosamente a partecipare) e per informare dell’accordo, poco noto, del 21 marzo 2015 tra Italia e Francia per ridefinire i confini marittimi delle due nazioni, accordo al momento non ancora ratificato dall'Italia. Le implicazioni sono diverse, e anche in questo caso, visto che le due cose sono collegate, vi invito a cercare informazioni sulla faccenda, ma il nocciolo è che perderemo voce in capitolo sulla gestione di acque che ci riguardano non tanto come proprietà ma come impatto sulle nostre vite.
Ciò che mi preme dire qui, però, è che l’azione di questa persona è stata coraggiosa. Si è esposto, nome e cognome, ha buttato un sasso e non ha nascosto la mano, ha creato una piccola onda, e noi dobbiamo imparare a diventare parte di un onda, quando è quieta, ben motivata, e animata solo dal desiderio del bene comune. Diventare molecole che si muovono nella direzione del buon senso e della condivisione. È un imperativo morale. In ogni fase storica e sociale si arriva a un momento in cui si deve prendere posizione; non farlo comporta  responsabilità pari all'agire male. La famosa banalità del male. Il problema è che, se si è persa la capacità di vedere, di sentire dentro l’urgenza di dare un senso, se pur modesto, alla nostra comparsa alla vita, allora non si può nemmeno essere consapevoli del proprio non agire. Ma se qualcuno, con umiltà e audacia, ci si avvicina per offrirci uno squarcio, una prospettiva, un dubbio, allora almeno accogliamo l’opportunità e andiamo a vedere di che si tratta. Potremmo improvvisamente scoprire qualcosa di nuovo e importante e persino rimpiangere di non esserne stati fino al giorno prima consapevoli. Con tutte le difficoltà che la consapevolezza in genere presuppone. Ma, insieme ad esse, avremmo la sensazione di essere vivi e non soli.
Nei primi cinque minuti di creazione del gruppo su WathsApp, è stata una cascata di numeri seguiti da un ha abbandonato, di tanto in tanto qualche frase di smarrimento, chi siete? cosa volete? Salvo qualche sparuto intervento, dei pochi che hanno dedicato un minimo a raccapezzarsi, per invitare a restare, a capire, a non spaventarsi, solo timore e fuga. Ecco, quella cascata di abbandoni è la misura del timore che ci attanaglia e blocca. La paura dell’altro. Non si comunica con chi non si conosce, questa è la regola. Si scappa. E si perdono grandi opportunità di conoscenza e crescita.
Ringrazio dunque Eligio per la sua ardita iniziativa e lo invito a non chiudere lo spazio che ha creato in questo mondo sempre più stretto. Dovesse servire a cambiare in meglio la vita di anche solo una persona, sarà stata una gran cosa.


13 marzo 2016

venerdì 11 marzo 2016

DAKAR, RIFIUTI E SOGNI

Immaginando di poter un giorno tornare in Africa, da diverso tempo, penso al Senegal. Mi attrae per diversi motivi, non ultimo il fatto che si parli francese. Un anno fa vidi un bel documentario su Rai 5 che parlava di un biologo francese che si è stabilito a sud di Dakar per dedicarsi alla divulgazione di metodi di pesca sostenibile tra la popolazione e ha messo su una squadra di sub per ripulire i fondali dalle reti rotte e abbandonate, facendo di questo programma la propria missione. Ecco un'altra persona in gamba, ho pensato. Un mio conoscente, poi, ci si è trasferito per aprire un'azienda di imballaggi alimentari da materiali riciclati. Inoltre il clima sarebbe idoneo per la mia salute. Insomma, una cosa dietro l'altra, sono arrivata a pensare che, vista la mia precarietà qui, mi ci sarei potuta trasferire dopo una visita preventiva, anzi, più correttamente, sarei potuta emigrare. Ad oggi, però, le mie finanze consentirebbero a malapena un viaggio di andata. Sarebbe veramente emigrare incrociando le dita. Di fatto l'idea è accantonata.
Ieri però, quando sono andata a perfezionare le pratiche di demolizione del mio scooter antico e distrutto da un incidente, ho letto che sarebbe finito a Dakar. Il concessionario mi ha spiegato che spedendo laggiù le moto spende un centinaio di euro in meno di rottamazione. Si sa che i nostri rifiuti più fastidiosi finiscono in Paesi in via di sviluppo, in Africa in particolare, con tutte le considerazioni del caso che qui tralascio, e che da alcuni di essi gli Africani tirano fuori ancora qualcosa di utile, come nel caso del mio scooter da cui trarranno pezzi di ricambio, ma ciò che mi ha colpito è stato pensare che proprio a Dakar è finito qualcosa di collegato a me mentre io resto qui.

lunedì 7 marzo 2016

8 MARZO

Vorrei invitarvi a celebrare l'8 marzo dedicando un poco del vostro tempo a conoscere, se ancora non la conoscete, la storia di Berta Cáceres. In rappresentanza di tutte le altre donne che in questo momento nel mondo stanno facendo qualcosa di buono.
Grazie

http://www.greenme.it/vivere/costume-e-societa/19521-berta-caceres-assassinata

domenica 6 marzo 2016

sabato 5 marzo 2016

CLASSI SOCIALI

Ho letto l’interessante articolo “Oligarchie al potere” di Paul Krugman su Internazionale della scorsa settimana*, articolo che vi consiglio, in cui ad un certo punto scrive “… i salari reali dei lavoratori della fascia media hanno smesso non solo di crescere più rapidamente di quelli della fascia bassa, ma hanno cominciato addirittura a rallentare” (nonostante le promesse della teoria della Sbtc – skill-basied technological change –ndr).
Senza entrare nel merito delle cause di questo fenomeno, è illuminante leggere che in India, in questo periodo sui giornali per la crescente intransigenza dei nazionalisti indù soprattutto nei confronti degli studenti universitari, ci siano violente proteste di piazza da parte di una casta fino a ieri benestante, per ottenere gli stessi diritti (!) delle classi inferiori che in qualche modo sono tutelati da un sistema di quote per l’accesso al lavoro nel pubblico impiego e all'istruzione.




*purtroppo non l’ho trovato online in modo da poter segnalare il link; si tratta del numero 1142 anno 23)

APPLE VERSUS FBI


Stavo riflettendo sulla controversia tra la Apple e il governo statunitense, FBI per la precisione. Quest’ultimo vuole avere accesso ai dati del telefono iPhone di uno dei responsabili della strage di san Bernardino, e la Apple, nella persona del suo amministratore delegato, Tim Cook, non cede perché per farlo dovrebbe creare un software apposta che permetterebbe l’accesso a qualsiasi dispositivo analogo. Infatti il sistema di protezione dati della Apple è tale che senza conoscere la password, l’apparecchio si blocca in modo irreversibile al decimo tentativo. Personalmente fatico a credere che tale software non esista già ma non è questo il punto. Il punto è se è giusto pretendere dalla Apple di dare il proprio contributo per combattere il crimine, come ogni onesto cittadino dovrebbe fare, o, in nome della libertà individuale e del diritto alla privacy, appoggiare l’azienda che se ne fa così ardente paladina.
Questi che seguono sono i miei pensieri, uno in fila all'altro come li ho avuti.
Nonostante la mia gratitudine nei riguardi di individui come Daniel Ellsberg, Julian Assange, Edward Snowden, e di tutti gli altri, meno noti, se non anonimi, paladini della trasparenza, ritengo, lasciando fuori ogni considerazione tanto sulla giustizia quanto sul caso particolare, che sia doveroso da parte di chiunque contribuire al trionfo del bene smascherando il male, per cui, per logica conseguente, la Apple dovrebbe fornire all'FBI non dico la tecnologia per tirare fuori i dati dal telefono ma almeno i dati stessi. Ciò creerebbe però un precedente facilmente impugnabile per ottenere dati sensibili ogni volta si tirasse in ballo la sicurezza (e in tal senso direi che quanto ad abusi siamo già a posto, grazie). Quindi sostegno alla Apple. Senonché, in termini di principio almeno, i governi dovrebbero poter essere controllabili da chi li elegge, quindi una possibilità reale di chiedere conto esiste ancora, mentre per le aziende questo non vale. E lasciare che sia un’azienda ad avere l’esclusiva sui nostri dati non è una cosa buona. Perché saremo noi i primi a perdere l’accesso ad essi. In un mondo in cui aziende e potere politico vanno sempre più a coincidere, anche un surrogato di democrazia può concederci dei margini di azione superiori al monopolio assoluto. In conclusione che gli diano questi dati, perché questa faccenda della libertà individuale e del diritto alla privacy è uno specchietto per le allodole. Si tratta di una banale lotta per il potere. L’unico vantaggio che ci viene dal conflitto è che da una delle due parti per un po' possiamo ancora ottenere qualcosa.


Ahmed Nagi: il Potere che strangola ancora la Libertà

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