Viviamo
in una società isterica che cova desideri di rivalsa ma non lo
ammette, che si fa forza cercando di attrarre gli interlocutori dalla
propria parte, non con solide argomentazioni ma provocandone le
reazioni con opinioni spesso bieche, in un tentativo di corruzione
metodico. Ciò nella speranza che chi è di fronte ceda, si tradisca,
esprima a propria volta opinioni e sentimenti di cui altrimenti si
vergognerebbe. Un processo di svilimento e immiserimento della
società in cui si rafforzano, a danno di tutti, pressapochismo e
aggressività. Un rancore pervasivo che non aspetta altro che di
prendere alle spalle chi non si omologa.
L'inadeguatezza
dei vecchi sistemi di governo, la sfiducia nel loro operato, la
stanchezza che sfocia in rabbia. Questi sono i temi centrali che
accomunano le crisi politiche nel mondo intero e che vengono elusi
ignorando o fingendo di ignorarne le cause prime.
Il
problema è che i vari Paesi ragionano senza un'opportuna visione
transnazionale perché ancorati a una concezione politica inscritta
nei relativi confini nazionali, nella convinzione dell'unicità
ognuno della propria storia nazionale. Come se mantenere la memoria
storica e culturale del proprio Paese fosse in contraddizione con
l'elaborazione di una strategia politica unitaria.
Oggi
tutti i Paesi fanno parte del medesimo sistema e sono sottoposti alle
medesime forze e pressioni. Deregolamentazione finanziaria, impatto
tecnologico, pervasività dei media, informazione mediocre,
incapacità di controllo sui flussi di denaro, individui deprivati di
diritti, di identità, di un luogo cui dignitosamente appartenere,
precarietà nelle varie sue forme. È disonesto sostenere
l'esistenza di soluzioni che non siano collettive e, soprattutto,
vincolanti senza eccezioni. Abbiamo, inevitabilmente, optato per un
mondo globalizzato ma ci siamo fermati all'inizio dell'opera e
pretendiamo di poter all'infinito esternalizzare gli effetti
collaterali dovuti alla nostra mancanza di serietà progettuale.
Illusi di poter riversare le passività in luoghi altri del tutto
separati da quello in cui viviamo, come quel tipo che ha commentato,
a proposito di uno sversamento di oli nel mare qua davanti, tanto
la corrente va verso la Costa Azzurra. Con quali parole si può
arrivare a riattivare le sinapsi di chi sragiona in tali termini?
Nello
scadimento generale, l'erosione progressiva dello Stato, istituzione
certo da ripensare ma imprescindibile in previsione di un nuovo
assetto politico mondiale, oggi è prerogativa comune alle varie
nazioni. Le autorità politiche nazionali sono tutte, salvo rare
eccezioni, in evidente declino, anche laddove fino a pochi anni fa si
poteva parlare di eccellenze. Rappresentando ciò l'unica realtà
evidente conosciuta dalle ultime generazioni, a parte gli
inconsapevoli della gravità dei problemi in cui siamo immersi e
pertanto beatamente o, mi si perdoni la libertà semantica e
l'asprezza di giudizio, beotamente integrati, a parte gli
opportunisti e i faccendieri, a molti tra coloro che restano pare di
essere in prossimità della fine del mondo anziché di fronte a un
cambiamento di paradigma inevitabile e auspicabile. Coloro che,
invece, vedono tale prospettiva purtroppo sono pochi e malvisti. Il
fatto incontrovertibile è che nessuno Stato è in grado di uscire da
questa situazione di crisi da solo. Crisi deriva dal verbo
greco krino (κρίνω) che
significa separare, cernere, da cui in senso lato distinguere,
discernere, giudicare, capire, quindi scegliere. La crisi comporta
una scelta, anzi obbliga ad essa. Vivere in un periodo di crisi,
tanto più quando essa si protrae e accentua, significa essere
investiti da una responsabilità etica individuale e collettiva, non
eludibile e non cedibile, nei confronti di se stessi e dell'intera
società umana nel suo divenire. Un imperativo categorico di buona
conduzione del bene comune. Che piaccia o no. In ogni epoca accade.
Se questa volta pare più ardua delle precedenti forse è solo perché
le altre non c'eravamo e non abbiamo idea della fatica che hanno
dovuto fare coloro che hanno tenuto duro in nome di quegli ideali che
ci permettono di chiamarci uomini.
Se
vogliamo progredire, dobbiamo immaginare forme politiche nuove,
visionarie, lungimiranti. Dobbiamo completare il processo di
globalizzazione con un'innovazione di pensiero che permetta di
affrancarci dalla pressione di problemi che noi stessi per incapacità
o superficialità d'analisi abbiamo determinato e dal controllo
esercitato da coloro cui abbiamo demandato la gestione delle nostre
vite, e che tutto sono fuorché governanti. Anche qui, la verità sta
nel senso della parola. Governare significa reggere il timone. A chi
risulta che il timoniere debba far affondare l'imbarcazione
affidatagli? I timonieri servono ma devono essere capaci altrimenti
vanno sostituiti. Il problema è che in pochi ne capiscono di mare e
per la maggior parte dell'equipaggio e dei passeggeri, se c'è uno al
timone vuol dire che sarà capace.
Lo
ripeto, nuove forme politiche, visionarie, lungimiranti. Non è
utopia come generalmente afferma chi, a corto di argomentazioni, si
limita a liquidare il discorso senza sottoporsi a un reale e onesto
confronto. La vera utopia, meglio, la vera illusione è credere che
tutto possa continuare in questo modo, con qualche pezza qua è là,
per salvare la faccia. Governi che promettono grandi cambiamenti per
convincere di avere tutto sotto controllo con l'evidenza contraria
sotto agli occhi di tutti.
Noi
Paesi occidentali opponiamo forse una maggiore resistenza mentale
all'idea di un cambiamento tanto radicale perché con difficoltà
consideriamo possano esserci forze esterne in grado di influenzare,
controllare, modificare, le nostre vicende nazionali, rispetto ai
Paesi in via di sviluppo per i quali è sempre stato così. Ci siamo
disinteressati di quanto accadeva e accade in vaste zone del pianeta
e oggi ci stupiamo per gli effetti che tale disinteresse ha generato.
Non
possiamo accettare oltre di essere diretti da speculatori che
scommettono sulla penuria delle risorse, da arraffatori di ricchezze,
da politici che decidono, ripeto, decidono di non occuparsi dei
problemi rimbalzandoli alle generazioni future.
È
necessaria la nascita di una democrazia che travalichi i confini
degli Stati, che sia in grado di assicurare equità per chiunque. Una
nuova concezione di cittadinanza. Nazioni inserite in un'unica
architettura di strutture transnazionali stabili, capaci di evitare
che le difficoltà di singoli Paesi determinino il collasso del
sistema, anzi in cui sarà il sistema stesso a risollevare le sorti
di chi è in difficoltà. Tale architettura pertanto non potrà
reggersi esclusivamente su principi economico finanziari ma dovrà
porre le fondamenta su valori di giustizia e di giustezza da
realizzare in tutti gli ambiti di interesse comune quali risorse,
salute, istruzione, salari, ambiente, produzione. Un socialismo
liberale planetario. Non è accettabile vivere in un sistema siffatto
in cui esistano differenze tanto radicali in termini di dignità di
vita. Una società in cui, man mano che le cose si mettono al peggio,
la “survival tech” permette, in parte, a una buona porzione di
individui di sopravvivere senza pretendere dai governi cambiamenti
reali. A oggi, la quasi totalità delle innovazioni tecnologiche
favorisce infatti lo status quo. Quegli stessi individui che, quando
le cose il peggio lo avranno raggiunto, scopriranno che gli strumenti
a quel punto necessari saranno alla portata esclusivamente di una
ristretta élite.
La
mancanza di una strategia realmente progressista, di cui lo stesso
capitalismo evidentemente necessita, l'assenza di un equilibrio tra
mercati e società civile, con una pericolosa concentrazione della
ricchezza, in termini di denaro, risorse, e dati, sono fattori che
non potranno che far collassare gravemente l'impianto sociale.
È
provato che le società con meno disuguaglianze funzionano meglio.
Quindi è realistico pensare che una società globale all'insegna
dell'equità e della gestione del buon padre di famiglia sia
l'obiettivo cui tendere.
L'ostinarsi
in un immobilismo cieco e sordo, al contrario, è posizione da
condannare senza concedere attenuanti.
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