sabato 20 gennaio 2018

RIFLESSIONI POMERIDIANE SUL MIO LIBRO

Sto riflettendo sul libro che comunque temo non riuscirò mai a scrivere. È ambientato tra il ’23 e il ’43. Non anticipo la trama per scaramanzia. Sto pensando alla consapevolezza che obiettivamente possono avere le persone riguardo al periodo storico in cui sono immerse. A quale può essere la percentuale di lucidità nell’analisi dell’ambiente circostante, lucidità che dovrebbe determinare le scelte e le decisioni di ognuno. La maggior parte degli individui ha a che fare con situazioni contingenti che occupano la quasi totalità del tempo.  
 Difficile, se non arduo, riuscire a raddrizzare il collo e guardarsi attorno per bene, arrampicandosi anche qua e là per sporgersi oltre ciò che preclude la vista e la visione di quanto non è nelle nostre immediate vicinanze.  Questione di volontà, certo, ma essenzialmente questione di tempo. A meno di non essere spiriti liberi e forti, l’assenza di questo fiacca inesorabilmente la volontà di intelligere, di inter lègere, di saper con cura scegliere tra le tante interpretazioni della realtà, la più, per quanto possibile, corretta. Questo stato di cose implica il dovere etico e civile da parte di coloro che dispongono di tempo, capacità, e onestà intellettuale di farlo per tutti gli altri. Di diventare sentinelle che danno l’allarme in tempo utile. Quando la gente muore per le strade, quando tirano le bombe, quando manca il lavoro, manca il cibo, e il denaro è carta straccia, quando ci spara addosso e si vive nella paura, tutti sono capaci di riconoscere che c’è la guerra, che si è, volenti o nolenti, in guerra, in una guerra. Ma riconoscerne la vigilia? Individuare i prodromi del conflitto? Sapere qual è stato il punto di non ritorno? Pochi riescono immersi nel flusso degli eventi.
Io credo che giornalisti, scrittori, filosofi, studiosi di ogni disciplina, tutto il mondo dell’informazione e della cultura abbia il dovere di tentare di prevedere, di arrivare in anticipo sugli avvenimenti, di togliere il velo a quanto la maggior parte delle persone non sa o non vuole vedere. Oggi, e da un bel pezzo, è urgente assolvere a ciò ma io vedo, se non con rare e poco risonanti voci, disertati i ruoli. 
La comunità mediatica principalmente ha abdicato all'imperativo di chiamare le cose con il loro nome, al metodo dell’analisi e dell’indagine, al rigore professionale. Per lo più arriva in ritardo e per non perdere l’attimo, si adopera più che altro per decidere da quale parte convenientemente schierarsi.


Marzo 2017

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