Intitolo
questo scritto, composto di getto in una notte di inizio settembre 2021,
con il nome della mia maestra e professoressa cui devo forma mentis e
pertanto la mia gratitudine.
Sono
stata tradita. E sono arrabbiata per questo. Maggiormente proprio per
questa rabbia che provo e nella quale non mi riconosco. Anch'essa fa
parte del tradimento subito.
La
prendo da lontano.
Nei
primi anni settanta ero una bambina delle elementari a Torino. Tra i
miei ricordi di allora il suono delle sirene della polizia, le
notizie del telegiornale, i commenti di mio padre. Manifestazioni,
anarchia, Potere operaio, Brigate Rosse, pericolo, paura, lotta
armata, occupazione, terrorismo, eversione. Una serie di parole che
ricorrevano quotidianamente senza che potessi comprenderne il
significato. Capivo soltanto che era una brutta situazione. A scuola
la mia maestra, metodo Montessori, era un'insegnante eccellente sotto
vari punti di vista e devo a lei la persona che sono, perlomeno i
lati buoni. Rammento che, oltre a rispettare il programma
ministeriale, ci raccontava del fratello morto contro Franco, parlava
di guerre, di fame, e di tutte le ingiustizie sociali nel mondo, del
Libano parlava, del conflitto israelo-palestinese, di inquinamento e
sfruttamento di persone e territori, di sofisticazione alimentare, di
corruzione, di petrolio. A noi parlava di tutte queste cose, a noi
bambinetti. Ci accompagnò dalla prima elementare alla terza media. E
quindi, per forza, quando accadde ci parlò di Aldo Moro e cercò di
spiegarci cosa volevano dire tutte le parole ei discorsi che
sentivamo in televisione all'ora di cena. Però ci parlava anche di
progresso scientifico, delle grandi scoperte che ci aspettavano a
fine millennio, dell'importanza di essere persone oneste e desiderose
di apprendere senza fermarsi all'apparenza delle cose. Di impegno e
di ricerca della verità. Di quanto sia fondamentale porsi sempre
delle domande, sempre esercitare il dubbio, non incastrarsi in
ideologie preconfezionate il più delle volte autoritarie, quanto
fondamentale sia il saper accettare risposte che non ci piacciono,
saper essere umili e disponibili nel confronto con l'altro, saper
riconoscere le proprie idee sbagliate ma essere pronti a difendere
quelle giuste senza cedere a compromessi. Di diritti umani ci
parlava, dell'imparare a mettersi nei panni altrui. E avanti così.
Non
ho fatto altro per l'intera mia vita fino a oggi e intendo proseguire
su questa strada.
Ricordo
che al cospetto dell'interminabile
teoria di cose sbagliate, brutte, ingiuste, spesso terribili, di cui
prendevo coscienza, mi persuasi che la causa fosse da ricercare
nell'ignoranza. Nel senso proprio di ignorare. Credevo insomma che la
maggior parte delle persone fosse all'oscuro dei mali del mondo
altrimenti come avrebbe potuto condurre una vita normale come vedevo
accadere attorno a me? Bisognava soltanto con dedizione e costanza
portare alla luce, denunciare, far sapere, raccontare. Sarebbero
bastate le parole. Avrei raccontato le inaccettabili ingiustizie di
cui ero venuta a sapere
a più persone possibile e automaticamente queste persone avrebbero
preso posizione per eliminarle le ingiustizie. Sarebbe stato un
esercito sempre più grande di persone di buona volontà, come si
dice. Un esercito di giusti. Il sapere come arma inoffensiva ma
imbattibile. Non ci misi molto a smascherare la mia ingenuità. Ne
soffrii e ne soffro ancora ma cerco di essere indulgente verso la me
stessa di allora.
Ricordo
che, ragazzina, mi consolai al pensiero che l'arrivo del lontano
duemila avrebbe comunque portato un mondo nuovo. Sarebbe stato il
momento del riscatto. Il progresso ci avrebbe condotti in una società
senza fame, senza inquinamento, senza sfruttamento sconsiderato delle
risorse, e nel rispetto di ogni essere vivente, e, di conseguenza,
con un numero decrescente di conflitti e ingiustizie sociali. La
cultura e l'impegno di tanti avrebbero contribuito alla realizzazione
di una società equa e dignitosa per tutti gli abitanti del pianeta.
Non di uguali ma di persone che avrebbero avuto ognuna secondo le
proprie necessità. Il confronto continuo di idee diverse, la
conoscenza crescente del mondo e delle sue peculiarità, tutto quanto
sarebbe spontaneamente confluito, nel rispetto delle diversità e,
aggiungerei, della biodiversità, in una visione comune lungimirante
e saggia sui temi di interesse collettivo.
Invece
no. Il duemila è stato raggiunto e superato e stiamo peggio di
prima. Ovunque e in modi che neanche avrei immaginato il male dà
spettacolo di sé. Sono stata tradita. Ingannata. La mia fiducia
nelle magnifiche sorti e progressive un'illusione alimentata da
adulti in malafede. Non tutti certo ma la maggior parte sì.
Nella
mia equazione mancavano i valori di due incognite. L'avidità e la
pigrizia. Quella pigrizia mentale e morale che ci porta alla delega
acritica e di comodo, alla cecità e sordità convenienti, al far
finta di niente pur di non rinunciare a nulla, fino ad arrivare alla
delazione e al tradimento, all'offesa e al linciaggio pur di non
prendere posizione e non assumersi responsabilità in prima persona.
Al servilismo. Pur di potersi confondere nella massa.
Perché,
riassumendo e certamente banalizzando l'opera di Elias Canetti,
l'essere umano è un animale gregario per natura, persino quando se
ne sta solo soletto in una stanzetta. Fatte salve le dovute
eccezioni, la sua attitudine e il suo desiderio sono di far parte
della maggioranza. Ma la mente collettiva non pensa. Non pensa perché
non esiste. Tutt'al più si possono avere reazioni a impulsi ed
emozioni. Reazioni tanto più intense ed efficaci quanto più le si
riscontrano vicendevolmente simili. E con questo sarebbe praticamente
detto tutto.
Edward
Bernays scriveva nel '28 che la gestione della res publica avviene
soprattutto attraverso la propaganda, il braccio esecutivo del
governo. Propaganda, cioè lo sforzo coerente e insistito di creare
circostanze atte a influenzare il rapporto della gente con un'idea,
un gruppo, un'azienda, un governo. E che esiste una progressiva
concentrazione della gestione della propaganda in mano a pochi capaci
specialisti del settore al servizio dei governi. La propaganda,
bisogna dirlo, non è di per sé negativa ma in quanto strumento per
organizzare e focalizzare l'opinione pubblica si presta facilmente ad
abusi. Ed è ciò cui stiamo, chi ne riconosce i segni, assistendo un
po' ovunque nel mondo. L'uso della propaganda è tornato in auge a un
livello preoccupante. Questo fenomeno è spiegabile con il fatto che
mai come in questo periodo storico la necessità di controllare le
masse è stata necessaria. Tale necessità è innegabile. Su tutto il
pianeta sono in essere spostamenti di popolazioni o parte di esse,
movimenti migratori, principalmente sull'asse sud-sud, anche se si
parla più che altro di quelli sud-nord. Ciò in primis per un
deterioramento dei territori dovuto a vari fattori tra cui degrado
ambientale, desertificazione, acidificazione delle acque,
prosciugamento o deviazione arbitraria di fonti idriche, perdita di
fertilità dei terreni, perdita di biodiversità, dissesti
idrogeologici, land grabbing, gravi perturbazioni meteorologiche, e
via elencando, con conseguente incremento di conflitti e disordini
sociali. L'assoluta mancanza di una gestione saggia, equa, e
lungimirante a livello mondiale della res pubblica e delle risorse,
le malversazioni, la corruzione, gli accordi commerciali e finanziari
transnazionali, le delocalizzazioni, la criminale esternalizzazione
dei costi di produzione a prezzi bassi per tenere in piedi un sistema
economico anacronistico, tutto ciò determina l'impossibilità di
attendere che il livello demografico dopo aver raggiunto il
presumibile picco di undici miliardi arrivi ad assestarsi
naturalmente sui nove. Nove miliardi per la sopravvivenza dignitosa
dei quali se ci fosse la gestione saggia, equa, e lungimirante di cui
sopra, ci sarebbero, nonostante la situazione oggettivamente
drammatica in cui versa il pianeta, risorse sufficienti. A ciò si
aggiungano l'ignoranza supponente, la non assunzione di
responsabilità individuale, il menefreghismo, la diffusa certezza
che prima o poi tutto si risolverà da sé o grazie all'intervento di
qualcuno che non siamo mai noi, quella convinzione sentimentale che
all'ultimo minuto, come nella più classica tradizione
cinematografica, il bene e la virtù trionferanno e tutto si
aggiusterà anche senza il nostro intervento. Ma cosa ci persuade di
questo? Quali prove abbiamo? Nessuna, ovviamente.
È
chiaro che urge un intervento drastico dall'alto. Ed
è
ovvio che chi ha il potere di dirigere le cose voglia correre
lestamente ai ripari e non possa permettersi di separare il grano dal
loglio. Perciò, se anche volessimo credere che la classe dirigente,
ufficiale o occulta che si voglia, sia la migliore possibile,
certamente i popoli, i sudditi, le masse, pagheranno il prezzo di
tale nuovo ordine, indifferentemente dal fatto di essere virtuosi o
meno. Questo spiega perché stiamo scivolando in una distopia da
scifi anziché nella società ideale che mi era stata annunciata
quand'ero bambina e nella quale continuo ostinatamente a credere. Ho
scritto alcune volte in passato, in tempi non sospetti, della mia
posizione in favore di una global governance
illuminata per la gestione degli ambiti di interesse comune:
ambiente, salute, istruzione, condizioni lavorative e commerciali, e
non rinnego tale convinzione. Ora che si sta realizzando, mi ritrovo
dalla parte di coloro che subiranno le derive cacotopiche del nuovo
indirizzo di governo mondiale. Non si tratta di complottismo ma di
banale osservazione della realtà. Nulla di quanto sta accadendo mi
stupisce, al contrario me lo aspettavo. Solo che, a differenza di un
tempo, sono consapevole che l'ebrezza data dal potere, l'imperfezione
umana, la cupidigia, la cortigianeria, il tempo che stringe, unendo
questi fattori, difficilmente andremo incontro a una società ideale.
Ossia una confederazione mondiale di Stati collaboranti e
vicendevolmente rispettosi, una confederazione paladina dei diritti
umani, del rispetto di ogni essere vivente e del pianeta,
sostenitrice di un progresso scientifico funzionale a tale visione.
Sarebbe possibile ma non si avvererà. Non ne siamo all'altezza.
Posso
anche credere che molti tra coloro che stanno tenendo le redini siano
animati dai migliori intenti. Perché escluderlo? Probabilmente se
non fossi vecchia, povera e invalida, se avessi avuto una storia
famigliare diversa, se avessi avuto la possibilità di proseguire con
gli studi e intraprendere la professione che avevo in mente, per
prima ora sarei dall'altra parte. Genuinamente convinta che solo un
controllo da parte di chi conosce e capisce le cose possa permetterci
di sfuggire al tracollo imminente. A conferma di ciò che penso e sto
scrivendo le affermazioni recenti di Draghi riguardo l'emergenza
climatica. È tutto collegato. Può essere in effetti che solo
attraverso delle imposizioni, e le stiamo, i più, pedissequamente
accettando una dopo l'altra, si potrà anche imporre il rispetto di
uno stile di vita dal minore impatto ambientale e quindi sociale. Chi
lo sa? Come stiamo constatando, e come prescrivono le regole di una
buona propaganda, uno stimolo ripetuto genera un'abitudine e la mera
ripetizione di un'idea crea una convinzione. Si possono dunque
imporre anche buone abitudini se queste non nascono spontanee. Ma è
più facile pensare si tratti di un'operazione di facciata, un
greenwashing generale. Che sia solo manipolazione ai fini di forti
interessi economici. Come infatti riportato dal Financial Times del
31 luglio 2021, le maggiori aziende del settore informatico, Apple,
Amazon, Microsoft, Facebook, Alphabet, hanno realizzato un incremento
di profitto del 90% nel giro di un anno, e sappiamo che molte
direttive di contrasto alla pandemia si reggono su di loro. Inoltre,
come prevedibile, molte aziende della cosiddetta BigPharma hanno
dichiarato nel primo trimestre 2021 utili in media raddoppiati
rispetto al primo trimestre dell'anno precedente (fonte IlSole24ore
12 maggio 2021). Può essere, anzi è sicuro, che interessi così
importanti in termini di numeri stiano condizionando le decisioni
politiche a scapito dei nostri interessi e salute, nonché libertà,
ma perché escludere anche la presenza di buone intenzioni? Magari
qualcuno ci crede veramente e sta provando a fare qualcosa di buono.
Se non tutti almeno alcuni. Io, per principio, il beneficio del
dubbio lo concedo. Ma, e lo sottolineo il ma, non intendo accettare
il modus operandi utilizzato. Se anche convinti che sia l'unico modo
possibile, coloro che tengono le redini se vogliono continuare a
chiamarsi Uomini, devono riuscire a trovare un'alternativa. Non è
facile ma devono. Perché qui il tradimento cui facevo riferimento
all'inizio diventa totale e irrecuperabile. Diventa insanabile.
Partiamo
da un esempio. In Francia a giugno è stata depositata in Senato una
proposta di legge a favore di una mobilitazione digitale generale del
Paese attraverso l'incrocio di dati identificativi, medici e di
localizzazione, che sarebbero gestiti attraverso la creazione della
piattaforma Crisis Data Hub. Si arriva a citare come efficace quindi
auspicabile anche l'uso di un braccialetto elettronico per il
controllo del rispetto di quarantena, con possibilità di
disattivazione del Green Pass per il trasporto pubblico, controllo in
remoto dello stato di salute, degli spostamenti e delle
frequentazioni personali, nonché il controllo delle transazioni sul
proprio conto con possibilità di sanzioni e multe in addebito
diretto e monitoraggio acquisti, soprattutto farmaci. Di fronte alle
“antiquate” preoccupazioni per la privacy, si afferma che se la
dittatura salva delle vite mentre la democrazia conta i morti, la
scelta non si pone. Se ne può parlare ma il fatto è che non se ne
parla. Non esiste contraddittorio. Chi non si allinea è fuori. E
questo non va bene. In sintesi, il mondo che ricordiamo, quello che
abbiamo conosciuto fino al termine del 2019 non tornerà più. Nel
bene e nel male siamo a pieno titolo nel new deal del terzo
millennio. E non è successo all'improvviso. Tutto meticolosamente
costruito nei decenni. Alla luce del sole e con tanto di
pubblicazioni ufficiali. Solo che si tratta di letture lunghe,
noiose, e piuttosto complicate. Chi ha tempo e voglia di affrontarle?
Una lunga teoria di sigle, di summit, e di accordi transnazionali e
sovranazionali che però un pezzo alla volta ha costruito questo
presente che non ci piace granché. Ma nulla è stato nascosto,
nessun complottismo. Tutto nero su bianco e, come dicevo, alla luce
del sole. A chi casca dal pero e dice che non è possibile quello che
sta accadendo nel mondo, e di cui pandemia e gestione della stessa
sono allo stesso tempo strumento e manifestazione, a chi è
spaventato e appiccica l'etichetta di complottista (senza peraltro
comprendere l'esatto significato del termine che in primis indica chi
i complotti li organizza) non solo agli sciroccati ma a chiunque si
ponga delle domande, a chi è ferocemente arrabbiato con chi cerca di
andare oltre le apparenze, ecco, a tutti costoro rispondo: leggete,
cristo santo, leggete. Andate a cercare documenti e relazioni degli
ultimi vent'anni, anzi trenta, leggetele, studiatele, e poi ne
riparliamo. Sto pensando a un video visto di recente registrato
dall'avvocato Reiner Fuellmich, avvocato di fama internazionale ed
esponente del Comitato Corona di Berlino, comitato attraverso il
quale insieme a un gruppo di colleghi e di esperti sta raccogliendo
materiale, testimonianze, documentazione scientifica per avviare un
processo denominato provvisoriamente Norimberga 2 per renderne
immediatamente comprensibile la portata. Tale denominazione esprime peraltro il clima di malessere generale cha la situazione contemporanea determina e alimenta. Non entro nel merito dei
contenuti, tanto più che la richiesta di apertura di una causa non è stata depositata come sarebbe stato ovvio presso la Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja, tantomeno Presso la Corte Suprema del Canada come dichiarato ma presso la Corte Superiore di Giustizia dell'Ontario che l'ha peraltro rigettata, ciò che però posso affermare con cognizione di causa è che molto di quanto nel video viene esposto corrisponde al vero. Non è
un'opinione personale ma il frutto di letture metodiche portate
avanti dai primi anni novanta. Incontri al vertice, conferenze,
accordi che hanno avuto luogo nel corso dei decenni hanno prodotto
pubblicazioni ufficiali e agende programmatiche, sicuramente
articolate, complesse, per lo più comprensibili solo agli addetti ai
lavori, ma in cui sono messi giù uno dopo l’altro i passi da fare
per arrivare a un certo risultato, che è quello che iniziamo ad
avere sotto gli occhi. Tutto approvato e sottoscritto da capi di
governo. Chi ha seguito con attenzione e costanza lo svolgersi degli
eventi non è per nulla stupito di quanto sta accadendo e prova una
giustificabile insofferenza e una profonda frustrazione pensando a
quando, forse con troppo anticipo, provava a parlarne restando
Cassandra inascoltata. Quanto è oggi non è altro che la
prosecuzione e la realizzazione di una pianificazione pluridecennale.
Tutto quindi prevedibile e, laddove necessario, contrastabile a suo
tempo. Pertanto coloro che si ostinano a definire paranoici quelli
che denunciano l'ovvio, sono persone che ignorano i fatti ma a cui
manca l'umiltà socratica di riconoscere di non sapere. Comprendo la
difficoltà di dover ammettere che esiste qualcosa al di fuori della
propria portata, delle proprie competenze e conoscenze, qualcosa che
ci spaventa, qualcosa che no, non può essere vero, perché significa
dover riconoscere dei limiti personali, una disattenzione protratta
negli anni, un'indifferenza colpevole e colposa, ed è perciò più
facile seguire la corrente e fare come le tre scimmiette, salvo
quando viene toccato il portafogli individuale o una qualche
cosiddetta libertà personale, allora ecco tutti a gridare che non è
possibile accadano certe cose. Siamo noi che permettiamo che
accadano con la nostra costante disattenzione, con il nostro costante
delegare, il costante non verificare l'operato di coloro che
deleghiamo. Quanto afferma l'avvocato Fuellmich è tutto comprovabile
ma la mole e la difficoltà della documentazione relativa da
affrontare sono tali che dissuaderebbero anche me che negli anni ne
ho digerita una minima parte. Se diventassimo tutti miracolosamente
consapevoli di quante cose ignoriamo saremmo a metà soluzione. La
consapevolezza di ignorare le cose e il desiderio di rimediare a tale
ignoranza sono infatti aspetti fondamentali dell'intelligenza.
Se
ci pensiamo, anche nel fascismo e dentro la seconda guerra mondiale
ci siamo ritrovati andandoci un passo alla volta. Siamo diventati
delatori, abbiamo accettato che alcuni esseri umani non avessero
diritti e gli si potessero infliggere le peggio umiliazioni, perché
ogni giorno, un giorno dietro l'altro, ci siamo auto rassicurati sul
fatto che fosse tutto normale, tutto plausibile quindi accettabile,
che lo Stato agisse per il bene nostro individuale e per quello
comune, negando ogni evidenza. Ci guardavamo intorno e vedevamo che
tutti facevano come noi per cui voleva dire che andava bene così.
Oggi biasimiamo ciò che fummo ma, pur di non mettere in discussione
il nostro stile di vita e le nostre abitudini, stiamo ripercorrendo
il medesimo solco. E, ovviamente, non mi riferisco solo al nostro bel
Paese.
Proprio
per la mia formazione quello che soprattutto non sopporto sono la
narrazione unica, la
prospettiva dicotomica, tipica delle rappresentazioni mediatiche, i
toni estremisti usati da esponenti di forze politiche che fino a ieri
consideravamo moderate o comunque da personaggi pubblici vicini al
governo. L’impressione
è che questi toni vengano assunti per accaparrarsi
le simpatie di quella parte di popolazione che è stata radicalizzata
da mesi di narrazione e propaganda manichea che offende intelligenza
e spirito critico. La
stigmatizzazione che stanno subendo coloro che – con differenti
ragioni – si oppongono alla linea governativa di gestione della
pandemia ha pochi precedenti.
Non sopporto nemmeno quest'adesione assoluta e dogmatica a qualsiasi
direttiva sanitaria basata su tecnoentusiasmo, scientismo, e
profitti, e ciò persino di fronte all'assenza di evidenze
scientifiche che supportino le direttive in questione. Si dà tutto
per scontato. Come se l'onere della prova
fosse superfluo. Non
sappiamo ad esempio, è impossibile non parlarne, (gli scienziati non
sanno, anche se un po' di studi stanno finalmente venendo fuori) se e
quanto il vaccino serva a ridurre i contagi. E quindi non è affatto
detto che il vaccino sia una misura di protezione per la salute
pubblica. In questa incertezza, misure come l’obbligo vaccinale o
il green pass sono, per chiunque comprenda il concetto di stato di
diritto, totalmente irricevibili. La
scienza, per essere tale, non può essere dogma e io pretendo che la
politica garantisca non solo l’indipendenza di ricercatori, medici
e degli altri operatori sanitari, ma contribuisca a creare e
mantenere un clima scientifico antidogmatico, aperto al libero
dibattito, trasparente, e soprattutto il più possibile esente da
conflitti d’interessi.
Purtroppo
leggo, odo, vedo, tocco con mano, un giorno via l'altro, soprattutto
da noi, in quale misura crescente e
allarmante venga sottratto spazio al ragionamento, allo spirito
critico, a dibattiti e discussioni trasparenti e appunto esenti da
conflitti d'interesse, quanto spazio sottratto allo studio di
documenti diffusi in altri Paesi. Un prevalere di posizioni
perentorie che nulla hanno a che vedere con lo spirito scientifico.
Il lasciapassare ad affermazioni ossimoriche, pratica in cui da
sempre eccelliamo, quale ad esempio, per citarne una in voga, il
Green Pass non discrimina perché siamo tutti liberi di vaccinarci e
quindi ottenerlo per poter così lavorare e andare a spasso.
A prescindere dal favore o meno a tale disposizione, che solo gli
ipocriti o gli incompetenti in materia medica possono definire
sanitaria, la frase in sé dà molto su cui riflettere. Ma l'aspetto
più grave è lo stato d'animo delle persone. Quello che vedo
per le strade, le frasi che ascolto, quelle che leggo, tutto è
infarcito di odio e aggressività. Cioè di paura. L'horror vacui di
una società che da troppo tempo ha smesso di dialogare con la morte
e pur di procrastinarla ad libitum è disposta a non pensare e quindi
a non vivere. La fuga dalla realtà è infatti rassicurante perché
ci manleva da responsabilità ed è agevolata da un progressivo e
secondo me voluto impoverimento del linguaggio. Il riferimento a
Orwell, acuto e sagace profeta, è scontato, quindi citiamo
Heidegger. Riusciamo a pensare limitatamente alle parole di cui
disponiamo, perché non riusciamo ad avere pensieri cui non
corrisponde una parola. Le parole dunque non come strumenti per
esprimere pensieri ma condizione per poter pensare. Quanto è più
agevole però abbandonarsi alla corrente e ripetere il mantra chi
non è d'accordo con me è contro di me? Perché ormai è dato
per certo che se non sono d'accordo con te vuol dire che non “mi
piaci”. Le persone sono pronte a fare di tutto, persino in modo
autodistruttivo pur di non sentirsi calpestate. Ma come è avvenuta
questa perdita di lucidità progressiva?
La
maggior parte delle persone che conosco legge meno di un libro
all'anno, quando legge un quotidiano scorre i titoli sfogliandolo, la
durata di concentrazione su un argomento è inferiore ai tre minuti,
altro che verifica delle fonti o confronto dialettico su un'opinione.
Da aggiungere gli ex lettori convertiti ai social. Insomma non è un
humus favorevole al pensiero. I nostri ammennicoli elettronici sono
diventati la fonte del nostro sapere. Subiamo le informazioni, se
ancora possiamo definirle tali. Cosa diceva McLuhan? Che il medium è
il messaggio. E sempre Orwell scriveva, il programma radio è un
notiziario, il notiziario dice la verità.
La
maggior parte delle persone, chi più chi meno, si trova in una
condizione di preanestesia. Percezioni ovattate. E chi è che ha
voglia di uscire da una simile zona di conforto in nome di una verità
che non cerca più nessuno?
Nel
1971 hanno pubblicato i Pentagon Papers, nel 1972 c'è stato il
Watergate, il Datagate nel 2013, i documenti diffusi da Wikileaks (e
qualunque cosa uno possa pensare di Assange non pregiudica
l'attendibilità e la gravità dei contenuti di tali documenti), e
tante altre meno note e meno eclatanti ma altrettanto pesanti
rivelazioni nel corso degli anni. Effetto sortito? A parte il
Watergate, direi poco o nulla. Un po' di scalpore, qualche titolo
altisonante, poi tutto nel dimenticatoio. Questo perché
dimentichiamo che vigilare sul rispetto della verità è un dovere
civico cui nessuno si può sottrarre. Mistificazioni, menzogne,
collusioni sono parte integrante della gestione della res pubblica
(gli esempi abbondano) e ritengo l'accettazione acritica di qualsiasi
direttiva o imposizione per quanto legittimata da decreti, ordinanze,
o leggi, non accettabile. La legge stabilisce la giustezza di una
norma ma ciò non implica che essa norma sia giusta. Una ventina di
giorni fa una carissima amica ha affermato che lei si nutre al
capezzolo dello Stato quindi oltre a non avere il tempo, non ha la
minima intenzione di andare a verificare se l'operato di chi le fa
arrivare lo stipendio è corretto. Intende vivere nella presunzione
che le persone da lei demandate a ricoprire un incarico di governo lo
espletino nel migliore dei modi. Se risultasse diversamente alle
elezioni successive si prenderanno dei provvedimenti, ha concluso.
Notavo con lei che, se si vuole che un'eventuale malagestione risulti
bisognerebbe indagare e chiedere conto di tutto ogni volta si abbia
il sentore di qualcosa che non va. E che alle elezioni successive
l'assenza abituale di controllo sarebbe un incentivo, se non a fare
uguale o peggio, a non impegnarsi in modo adeguato. Purtroppo,
ricollegandomi alla questione del bene che alla fine trionfa
comunque, forse soprattutto nelle democrazie cosiddette liberali il
rischio di scivolare in forme di autoritarismo variopinte e camuffate
da interesse collettivo è molto forte. Il problema è che tutto è
diventato offuscato, i piani sovrapponibili, chi deve fare cosa, chi
è responsabile di cosa. Chi ha veramente le competenze per gestire
una cosa, chi il potere di decidere come gestirla, chi la
responsabilità del risultato di tale gestione, sono di rado la
stessa persona. Come si fa a districarsi? A riconoscere con certezza
frodi, abusi, ruberie e relative responsabilità civili e penali?
L'operato zoppicante e spesso controverso della magistratura ne è
prova. Poi non esistono più, o forse non di nuovo ancora, se non nei
confronti di singoli, misure di sopraffazione e coercizione che
possano far pensare di essere sotto regime. Il sistema di un
panopticon senza muri è estremamente efficace. Quale miglior
prigioniero di quello convinto d'essere coccolato, amato, e protetto
da chi lo governa e pertanto non mette nulla in discussione? Quale
miglior prigioniero di quello convinto d'essere a sua volta
collaborativo guardiano?
Detto
questo, e rammaricandomi dei troppi ma inevitabili riferimenti alla
pandemia, voglio ergermi per quanto possibile in difesa del libero
pensiero, dei valori dell'umanesimo, e del confronto quale germe di
crescita personale e generale.
Oggi
confondere per assonanza liberalismo con liberismo è facile, lo
sottolineo giusto prima di definirmi, tra le altre cose, una
liberale. Il
liberalismo classico - figlio diretto del pensiero di pensatori
illuministi quali Locke, Montesquieu e Kant - è una dottrina
politica improntata sulla difesa dei diritti e delle libertà
individuali, individuati come naturali e indicati come unica
giustificazione dell'esistenza di un'autorità pubblica.
Il
pensiero liberale è stato ed è reiteratamente offeso. Quanti
liberali rinnegati! Individui che a un certo punto trovano
un'ortodossia, un sistema di idee che si presume debba essere
accettato senza obiezioni dalle persone ragionevoli, e ci si
arroccano, perdendo lucidità, onestà intellettuale, e rifiutando a
priori qualsiasi confronto. Trincerati nelle loro roccaforti
ideologiche tradiscono con una fierezza inspiegabile i principi che
dovrebbero difendere.
È
vero, escludendo giustamente ciò che ci offende e umilia o ci
costringe a subire abusi e ingiustizie, ci sono cose, diverse per
ognuno di noi, che non vogliamo comunque sentirci dire perché
facilmente comporterebbero la messa in discussione di chi siamo e
come viviamo. Pensieri, dubbi, analisi, che siano. Bene. È umano.
Certe cose non vogliamo sentirle dire però non possiamo né dobbiamo
impedire che vengano dette. Abbiamo il dovere di confrontarci con
esse nella misura in cui ci viene offerto un confronto dialettico
onesto e pacato.
Per
quanto si cerchi di negare la verità, essa continua a esistere, e
finché ci sarà la libertà di dirla, la verità, allora la
tradizione liberale potrà continuare a vivere.
La
libertà intellettuale, una tradizione radicata senza la quale i
valori su cui è basata la nostra società perderebbero di
significato, si realizza principalmente nella ricerca e nella
protezione della verità.
E
senza una strenua difesa di questi valori non arriveremo mai a quella
forma di governo globale ideale cui facevo riferimento all'inizio.
Tutto
ciò lo dico pensando anche al premio dedicato a Mario Pannunzio che
mi è stato conferito. Mario Pannunzio il cui merito principale fu
quello di stimolare e riunire in modo
continuativo il contributo di filosofi, scrittori, politici, artisti,
giornalisti e storici, attorno al suo giornale. Egli fece parlare una
lingua nuova in un'Italia ancora provinciale, bigotta, adulatrice dei
potenti, un'Italia oggi meno provinciale e meno bigotta ma che
non ha perso il vizio dell'adulazione.
Con
integrità morale dobbiamo nutrire e preservare l’impegno di chi
lotta per difendere i principi in cui ci vantiamo di credere e si fa
urgente l'imperativo di onorare quanti hanno vissuto e operato per
mantenere vivo il pensiero liberale prendendo il testimone e
passandolo di generazione in generazione.
Per
questo mi aspetto
che tutti gli uomini di cultura, tutti i sedicenti liberi pensatori,
i sedicenti difensori della giustizia, tutti i difensori della
Costituzione, tutti gli individui che credono nei diritti legittimi
di ogni essere vivente, tutti coloro che si ammantano di quei valori
che oggi sono impunemente calpestati, ecco pretendo
che tutti costoro, e mi includo, si alzino in piedi e dicano NO.
Dicano
un NO forte, fermo, e non negoziabile alle ingiustizie. Dicano NO
all'ipocrisia di norme che non garantiscono nulla se non una falsa
sicurezza. Dicano NO ai discorsi espressi esclusivamente in termini
dicotomici quali imperversano ovunque e senza soluzione di
continuità. Dicano NO all'assenza di contraddittori onesti. Anche,
banalmente, per evitare di gettar benzina sul fuoco. Imporre un'unica
versione dei fatti e arrivare all'imposizione di regole che mettono
all'angolo, alla berlina, e alla fame, chi dissente può rafforzare
l'opinione che si vuole contrastare. Rinunciando alla discussione e
alla ricerca comune di ciò che maggiormente si avvicina al vero, si
rischia la radicalizzazione dell'opposizione. Ridurre al silenzio nel
quadro di un banale e brutale rapporto di forze è la cosa più
stupida e deleteria che si possa fare nella prospettiva della
risoluzione di un problema. I dubbi vanno discussi, non negati. A
meno che, viene inevitabilmente da pensare, l'obiettivo non sia
proprio il voler prevalere in sé, con buona pace delle motivazioni
addotte di sicurezza sanitaria, sociale, economica, che dir si
voglia. Dicano NO al prorogare quelle circostanze eccezionali che
permettono a un governo di aggirare le sue stesse leggi. Dicano NO a
una società in cui la dignità umana è offesa senza ritegno in ogni
parte del pianeta. Dicano NO ad accordi economico finanziari che
possono rendere prive di valore conquiste di diritti sanciti da
Costituzioni e dalla Dichiarazione universale dei diritti umani.
Dicano NO a ordini e provvedimenti che comportino offesa morale e
fisica a chi non ha mezzi e strumenti per difendersi. Dicano NO a una
società che si sta allontanando sempre più dagli ideali di
humanitas e cultura in favore di una realtà di individui omologati e
acriticamente consenzienti.
Ma
lo so: occorre un grande sforzo per vedere ciò che si ha sotto il
naso
Per
quanto mi riguarda sono stata tradita ma non tradirò.