martedì 3 dicembre 2019

È SCOPPIATA LA TERZA GUERRA MONDIALE


È scoppiata da un pezzo la terza guerra mondiale e in pochi se ne sono accorti. Forse nemmeno quelli che la stanno vivendo sulla propria pelle sono consapevoli dell'ecumenicità del fenomeno. Bisognerà attendere i libri di storia dei nostri nipoti perché il capitolo che narrerà i fatti che stanno accadendo ora porti il titolo: “Il Terzo conflitto mondiale”.
Proteste scoppiano ovunque, senza soluzione di continuità da parecchio tempo a questa parte, e sono destinate a diventare immanenti. È perlomeno plausibile che siano collegate.
Come scrivevo tempo fa, in ogni zona della terra i popoli sono in rivolta. Con dinamiche più o meno drammatiche e in contesti diversi, ovunque, laddove non si cede a preoccupanti sbandamenti nazional populisti, ci si oppone all'autorità costituita. Che siano regimi autoritari, democrazie neoliberiste, istituzioni inefficienti e/o colluse. In sintesi ci si ribella a chi accumula potere e ricchezza a discapito della maggior parte delle persone. Ovunque si invoca il recupero di un vivere degno ed equo e si denunciano diseguaglianze sociali crescenti, esito dell'operare cieco e avido di una casta ormai al di sopra di qualsivoglia controllo.
Che il detonatore di questa rabbia diffusa, prima ancora che rivendicazione di valori di umanità e saggezza, possa dunque essere la crisi economica che da un decennio prosegue con sempre più gravi ricadute sulla società?
Una crisi economica incentivata dall'ostinazione del sistema capitalistico a voler sopravvivere senza trasformarsi. Un'ostinazione aggressiva che sta trascinando il mondo verso l'abisso e capace solo di proporre soluzioni di austerità e riforme strutturali che penalizzano le fasce più deboli.
Un'iperproduzione industriale che aggrava le condizioni ambientali, quindi quelle sociali, quindi quelle politiche. Paesi che oggi in un anno producono quanto è stato prodotto in un secolo. Paesi che ambiscono a fare altrettanto il prima possibile. Paesi che svendono le proprie risorse a sostegno di tale malata iperproduzione in cambio di un'elemosina di sopravvivenza che si traduce in una condizione debitoria perenne. Cittadini dei Paesi sviluppati che ipotecano la vita per possedere il superfluo. Cittadini dei Paesi in via di sviluppo che li invidiano e soverchiano propri concittadini che non hanno di che vivere, in una competizione spasmodica che non lascia intravvedere un lieto fine.
È un fatto che il dominio concesso al mercato e alla finanza abbia creato disparità tali da rendere vano ogni tentativo di costituire una protezione sociale universale. Ed è un fatto che abbia determinato e sostenuto condizioni favorevoli a una crescente interdipendenza tra poteri politici e poteri economici operanti ormai a circuito chiuso.
Oggi però vediamo, grazie all'attuale sistema di comunicazione, come la natura della crisi del cosiddetto neoliberismo non sia un'astrazione per addetti ai lavori ma qualcosa di molto concreto, come sia di natura ambientale e sociale, e grave al punto da compromettere la democrazia che, per quanto difettosa, resta ancora la soluzione politica migliore. Ma mai dal potere politico la crisi viene presenta in tali termini; al contrario ci si ostina a proporre una visione frammentaria della situazione, proprio per rallentare, per soffocare quella presa di coscienza generale che potrebbe offrire lo slancio definitivo nella direzione di un futuro degno di tal nome. La solita faccenda di considerare i problemi a compartimenti stagno, al punto che anche chi strumentalizza tale prospettiva resta convinto sia quella corretta. Ma un denominatore comune c'è ed è sotto agli occhi di chi vuole vedere, quindi perdersi dietro a spiegazioni sul perché in quel tal luogo sia successa quella determinata cosa è sì interessante e doveroso ma pure pleonastico.
Bisogna cambiare le cose. Qual'è la parola? Rivoluzione. Una parola grossa, che spaventa. I più timorosi di perdere ciò che hanno paventano per il ribollire sociale e sono pronti a chiamare pericolosi rivoluzionari, addirittura terroristi anche coloro che reclamano giustizia. Secondo me non si tratta di rivoluzione. Forse si tratta solo della seconda fase di un processo iniziato nell'ultimo ventennio del secolo scorso, se pur con radici già profonde. Forse l'opposizione alle derive del pensiero neoliberista non è che la fase successiva necessaria al compimento della transizione verso un mondo realmente globalizzato. Fase che i fautori dello stesso non avevano considerato né preventivato, accecati com'erano, e malauguratamente sono ancora, dal miraggio di un tutto subito e per sempre a qualsiasi costo.
Ma se verrà impedito di portare a termine il perfezionamento di questo sistema globale allora questa guerra non ancora riconosciuta come tale esploderà cruenta con tutta la furia che porta in seno.











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