Durante
un recente e lungo ricovero in ospedale mi
sono posta alcune banali domande che desidero condividere.
Secondo
voi perché ad un certo punto nell'ottocento si sono messi a
costruire ospedali con ampi padiglioni e grandi finestre, immersi nel
verde, con giardini, camminamenti, e agevoli zone di sosta
all'esterno? Perché un secolo dopo le finestre venissero chiuse, la
circolazione dell'aria garantita dai condizionatori e i giardini
trasformati in parcheggi?
Perché
scrissero eccellenti linee guida in cui si spiegava come rafforzare
l'effetto delle cure con un'alimentazione personalizzata a seconda
delle caratteristiche individuali e della patologia? Forse perché
oggi si finisse con il somministrare a tutti semolino e purè a ogni
piè sospinto?
Si trattava di misure
basate sui nuovi concetti di asepsi e antisepsi. Sull'importanza di
non ragionare a compartimenti stagno. Dal lavarsi le mani al non obbligare
i degenti a respirare solo aria viziata. Consentire un agevole
contatto con l'ambiente esterno aumentando così il livello di
umanizzazione degli ambienti interni e del trattamento terapeutico.
Rafforzare le difese autogene anziché indebolirle. Rispettare
l'unicità di ogni individuo. Oggi il progresso che ne sarebbe dovuto conseguire si limita al progredire di alcune tecniche mediche e per il resto consiste a quanto pare nell'omologazione acritica delle procedure e nell'assenza del mai sufficientemente rimpianto buon senso.
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