Ho finito di leggere il saggio di Vittorio Coletti "La grammatica dell'italiano adulto" e tra tutte le cose che ho letto, note e non, ce n'è una che non comprendo.
A pagina 109, scrivendo della particella ci/ce, l'autore spiega la funzione intensificante o modificatrice che essa determina unendosi a taluni verbi.
In linea di massima spesso si può attribuire al ci il ruolo di un avverbio di luogo: anche nel verbo entrarci o non entrarci (ad es. noi c'entriamo eccome in questa faccenda; lei non c'entra nulla;) il significato è riconducibile a un luogo, se pur figurato. Nel primo esempio tale luogo è espresso da in questa faccenda, che rappresenta anche una dislocazione a destra, sarebbe a dire una sottolineatura di quanto già implicito nel c'.
L'esempio ci vogliono due uova per fare la frittata, lo traduco (forse sbagliando) invece con un pronome personale atono che indica un generico a noi servono due uova per fare la frittata, e l'esempio ci conto lo traduco con su questa cosa conto, quindi in qualche modo sempre un luogo,
Vengo al dunque. Quando, invece, trovo:
"Hai l'ombrello?"
"Ce l'ho."
mi chiedo perché non si possa dire semplicemente "L'ho". Come si può tradurre il ce?
E nel verbo avercela, avere + ce + la, dove la si riferisce alla collera, alla rabbia o, comunque, a un qualcosa che si ha/prova nei confronti di qualcuno, il ce che cos'è? Solo un suono? O lo si può ricondurre a una funzione logica?
Gentile signor Coletti, ho apprezzato molto la lettura del suo testo e le sarei grata se mi chiarisse anche questo punto. Diverse volte mi hanno posto la questione e non sono stata in grado di rispondere.
Ne approfitto anche per ringraziarla per i lumi sui verbi disfare e redarre, nonché per avermi insegnato che si dice complementarità e non complementarietà.
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