venerdì 7 marzo 2014

SHOPPING E PSICHE

Più osservo e ascolto le pubblicità, più presto attenzione a ciò che ci viene offerto in quanto consumatori, più mi convinco che la maggior parte dei prodotti sul mercato siano dei prodotti per combattere la paura. Una paura che poi viene parcellizzata, diversificata, trasformata. Dalle automobili ai cosmetici, tutto serve per far fronte a qualche minaccia, dal caro idrocarburi alla nostra pelle rinsecchita e sciupata. Da una parte ci propongono hamburger, dall'altra yogurt anti colesterolo. Come a dire che per ogni minaccia che incombe su di noi, c'è la soluzione, basta acquistarla. L'economia dei consumi oggi è essenzialmente dedita a produrre consumatori impauriti o, meglio, ad amplificare e consolidare timori più o meno giustificati, inducendo in noi non solo la speranza ma la convinzione vera e propria che qualsiasi temibile rischio sia al giusto prezzo eliminabile. L'idea che così come ci procuriamo il male, allo stesso modo possiamo farlo sparire. Per ogni danno procurato dalla nostra specie esiste antidoto o panacea. Quindi scrupolo, etica e lungimiranza possono essere tranquillamente soppiantati da un portafogli rigonfio. Sventurati i poveri che non possono né potranno difendersi. Fortunato il mercato che a farci convivere quotidianamente con una morte prossima e così subdola da poter sbucare da ogni dove, tiene alto il fatturato.

Non preoccupiamoci di non rendere l'aria mefitica: abbiamo mille soluzioni per deodorarla piacevolmente!


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martedì 4 marzo 2014

CEDO LE ARMI

È più una tentazione che una dichiarazione d’intenti, una domanda forse, a cui non metto il punto interrogativo perché vorrei, anche se non ne vado certo fiera, fosse una risposta, anzi la risposta a un bisogno fisiologico. 
Sono satura. Mi sono ridotta a sfogliare le pagine dei giornali e a scorrerne i titoli, senza più la determinazione a leggere, confrontare, capire. Perché qualsiasi luogo nel mondo uno possa nominare, a dire che ci sono conflitti in atto, che c’è ingiustizia sociale, che i diritti sono calpestati, che ci sono malesseri diffusi e crescenti, che ci sono soprusi, eccidi, sfruttamenti, devastazione, difficilmente si sbaglia. Luoghi e nomi si mescolano fino quasi a confondersi ed è una lotta impari quella dell’anima che vuole far fronte, che vuole sapere e conoscere, e tentare almeno di dar voce. L'amore e l'empatia servono a poco.
Cristo diceva che se si sfama anche un solo affamato o si veste un solo ignudo…bastasse veramente. Se ognuno lo facesse forse, ma non è così. 
Sì, la tentazione di ripiegarsi nella propria dimensione personale, che già fa acqua da tutte le parti, pare una salvezza, e questo la dice lunga. 
Un profondo senso di fallimento. L’idea infantile, nel senso che risale all’infanzia, che il rendere una cosa brutta di dominio pubblico ne avvierebbe la risoluzione, ridotta a ingenua illusione. Ridimensionare gli ideali con la coda tra le gambe. Un disincanto che morde la pancia. 
Ricordo che dicevo alla mia insegnante delle elementari: “Da grande denuncerò le ingiustizie – credevo che il diventate grandi mettesse automaticamente in condizione di poterlo fare – così le persone sapranno e faranno qualcosa per farle smettere!” Già, sapere uguale agire - o prendere posizione almeno - ... fa sorridere ora il pensiero di averci creduto con tanta fiducia.
E quanto tempo si spreca disperdendo energie su più fronti. È come se nel passaggio da ragazzi ad adulti, ingannati dalla convinzione di avere la possibilità e la libertà di fare qualcosa, si vivesse a tempo indeterminato in uno stato di inconsapevole confusione. Il fatto è che si viene semplicemente liberati in recinti più grandi, anche molto più grandi, e i confini sono solo più difficili da riconoscere, e quando ci si riesce, in genere è trascorso molto tempo, spesso troppo, e le energie e l’entusiasmo sono già agli sgoccioli.



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lunedì 3 marzo 2014

IN TRENO VERSO MONZA INSIEME A MIA NONNA

Ho accompagnato mia nonna novantunenne in treno fino a Monza a trovare sua sorella che non vedeva da quasi settant’anni, da quando stavano a Venaria Reale, vicino a Torino, e mia nonna lavorava alla Snia Viscosa. Siamo partite da Albenga verso Milano centrale e da lì abbiamo preso una coincidenza per Monza. 

“ Ma guarda quanti palazzi in Lombardia, che palazzoni che fanno qui.” 
“ Nonna, non è solo la Lombardia, è così dappertutto nelle periferie delle grandi città, anzi in tutte le periferie urbane ormai.” 
“ Ma guarda tutti quei palazzi senza balconi, come fanno senza balconi?” 
“ Ma no, nonna, ci sono palazzi senza balconi e palazzi che ce li hanno.” 
“ Ma guarda che piccoli che sono, non ci si può mica vivere e cosa vedono? Altri palazzi. Ma quanti appartamenti ci sono dentro? Ma sono troppi! Li vedo in televisione i palazzi ma vederli così dal vero fa impressione… e guarda che finestre piccole. Hanno poca luce, poverini. La luce è importante, se no si diventa tristi.” 
“ Sì, nonna, poca luce e poco spazio.” 
“ E poi sono tutti attaccati, non c’è più terra, non c’è più vista, allora aveva proprio ragione quello là…” 
“ Chi nonna? Calvino?” 
“ No, quello della canzone… Celentano. I soldi gli hanno dato alla testa agli uomini, ma sai cosa penso? Che non sono mica ricchi quelli che vivono lì dentro, quelli sono le api operaie. Quelli ricchi mica ci stanno in un posto così. Ma quanto cemento, quanto cemento… ma è tutto così in Italia?” 
“ Sì, nonna, purtroppo sì. Gli hanno anche dato un nome a questa cosa: si chiama consumo del territorio. Costruiscono anche dove non serve, costruiscono per costruire, perché a costruire qualcuno che guadagna c’è sempre, anche se poi le case restano vuote.” 
“ Ma perché non aggiustano quelle vecchie che sono molto più belle? Ma no, lo vedo che non lo fanno. Vicino a me c’era una bella casetta di due piani che aveva più di cento anni con un bel pezzo di giardino intorno, era da aggiustare e quando hanno iniziato i lavori ho pensato, che bravi, era ora, ma sai cosa hanno fatto? Hanno usato tutto la spazio e hanno tirato su un condominio di tre piani con otto bilocali che sono lì da vendere da più di tre anni. Che tristezza, fa proprio una brutta impressione vedere com’è cambiato tutto. Quando sono venuta l’ultima volta era tutto diverso” 
“ E quando sei venuta l’ultima volta da queste parti?” 
“ Nel ’47, in viaggio di nozze, a vedere Milano, abbiamo fatto una notte in albergo.”
“ Sono sessantasette anni fa… è normale che sia tutto diverso, che sia cambiato…”
“ Non sono mica stupida, lo so che in tanti anni così le cose cambiano, ma cambiare non vuol dire peggiorare, io ho fatto la fame e mi aspettavo che con il benessere ci sarebbe stato un miglioramento. Però io qui non vedo bellezza, non vedo grazia, non vedo intelligenza. Nei secoli passati tutte queste cose c’erano e infatti si vedono ancora. Era meglio se non lo facevo questo viaggio… Che delusione e che tristezza!” 


1 marzo 2014

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